domenica 7 marzo 2010

Radici

Mia nonna era una femminista. Ma non di quelle estremiste degli anni ’70 che volevano eliminare l’uomo dalla loro vita, che facevano separatismo e che fondamentalmente non ci capivano un cazzo di quello che voleva dire femminismo (le lesbiche infatti sono un’altra cosa, non è difficile capirlo).
Mia nonna, nata negli anni ’30, era una femminista degli anni ’50, quel dopoguerra che in Italia ha profondamente influito a livello politico nella vita di tutti. Quello che le interessava era fare qualcosa per le donne. Questo voleva dire femminismo ai suoi tempi. FARE QUALCOSA PER LE DONNE. Per le donne sfruttate, usate, violentate, non considerate. Emanciparle da un sistema patriarcale per il quale ad esempio se in famiglia c’erano pochi soldi chi studiava era il maschio, tanto la femmina avrebbe trovato marito…oppure tante altre piccole e grandi cose che sommate tutte insieme rendevano la donna inferiore nei diritti, anche se con i medesimi doveri…un salario più basso, una minore considerazione nelle scelte, non poter divorziare, sono solo alcuni esempi. Un sistema in cui non c’erano né aborto né divorzio, un periodo critico perché, aldilà di tutto ciò che è stato detto dopo, queste due cose sono state fondamentali per l’emancipazione della donna. Oggi non si capisce forse nemmeno più molto bene perché questi due piccoli cambiamenti siano stati importanti, e in che modo siano stati rivoluzionari. Oggi si disconosce troppo spesso l’importanza di quelle lotte. Eppure questi diritti non sono dati una volta per tutte, la donna, tra l’altro spesso (e anche oggi è così), ha la tendenza ad essere l’oggetto di maltrattamenti. Storicamente è così. Io non lo so come mai, sarebbe interessante approfondire e ricercarne il motivo, perché poi una donna stuprata dovrebbe provare vergogna e tenersi un figlio nato così solo dio potrebbe permettersi di spiegarlo. E per fortuna dio non abita su questo mondo, mi viene da dire. La donna come oggetto, la donna sfruttata. Mi ha sempre fatto incazzare ed imbestialire e ancora di più se penso che le donne oggi per allontanarsi dall’immagine estremista che un femminismo stupido ha dato di sé non si dicono esse stesse femministe. Mia nonna ha lottato per le leggi per l’aborto e il divorzio, in prima linea, capiva quanto fossero importanti tali diritti per le donne. Ma non solo. L’emancipazione culturale e lo studio, l’associazione tra donne e l’unione delle donne. Il sostenersi a vicenda. Per questo ha lottato mia nonna. E ci ha scritto sopra un libro. E tanto perché fosse chiaro quale fosse il suo tipo di femminismo l’ha intitolato “Con le donne e non solo”.
Lei era una donna fuori dal comune per energie e capacità di mettersi in comunicazione con gli altri. Lottare per degli ideali. Di unità, di “sorellanza” e fratellanza. Di amore alla fine. Perché oltre ad essere una femminista militante del P.C. in giro per l’Umbria era una donna sposata e con un figlio. Una donna con le palle, nel gergo comune.
Scrivo queste cose di lei adesso, a un anno e mezzo dalla sua morte, per un motivo ben preciso. Ancora oggi nonna riesce a far parlare di sé. Venerdì pomeriggio scorso sono infatti stata ad un incontro ad Amelia, un piccolo borgo umbro, intitolato “Costruttori di Democrazia”, ed avevano organizzato una lettura di vari brani di personaggi impegnati in politica, nelle lotte dalla liberazione in poi, partigiani, militanti, perfino un guerrigliero colombiano finito (chissà come) ad Amelia. Io e papà ne siamo venuti a conoscenza per caso e abbiamo assistito con gioia alla lettura di brani del libro di nonna. Non sapevamo nulla dell’iniziativa e ci ha fatto davvero piacere. Io mi sono stupita di come la donna che parlava fosse entusiasta di quello che leggeva e di come mia nonna fosse riuscita ad essere chiara e diretta nella trasmissione di quello che voleva essere il messaggio per chi avesse letto il libro.
Io, che ero piccolina quando nonna mi portava alla sede di partito, quando leggeva il testo che si era preparata ai comizi, quando con nonno tutti i giorni leggevano le pagine di politica dei giornali. L’amore e la passione. La fede in un ideale. E nemmeno una lira in tasca (manco a dirlo, no?).
Sono orgogliosa di lei. Si, lo sono proprio tanto e sono contenta di poterla ricordare e lo faccio con l’obiettivo di proporre a modello il suo modo di fare attivo e propositivo. Senza troppi formalismi o “sofisticalismi”. Ho sempre ammirato molto e credo di aver ereditato il concetto che quello che conta è l’azione. Non bastano le teorie espresse a parole:
“il senso di una rivoluzione culturale che deviasse lo sviluppo dall’avere all’essere, comporterebbe che gli intellettuali la smettessero di spiegare il mondo e si impegnassero a cambiarlo”
 Questa frase l’ho estrapolata ormai anni fa dal libro di storia dell’architettura contemporanea del Benevolo. Con tutti i distinguo del caso (per esempio nonna non era certo un’intellettuale), mi pare spieghi molto bene comunque il suo fare e agire. Un pensiero attivo. Ce ne sono rare di persone così. Molta gente si chiude nelle sue meschinità. Lei a pochi giorni dalla morte, dopo un anno di sclerosi laterale amiotrofica (una malattia degenerativa che l’ha colpita tutto sommato ancora giovane), in viaggio a Roma per delle cure, cosa fa? Si porta dietro il giornale Noi Donne per distribuirlo ancora! Ci credeva fino in fondo e aveva sempre in testa l’ideale di un mondo migliore. Eppoi le mille marce per la pace, tutti gli otto marzo tra una manifestazione e l’altra per tenere vivo l’interesse della gente…
Si sono piena di orgoglio e non mi va di sminuire il valore di questa donna, che per caso è pure mia nonna, solo perché l’invidia e la meschinità di alcuni giudicherà questo scritto solo un vanto personale. Non ci provo nessun gusto né sfizio. Non mi vanto di essere sua nipote, non ha alcun senso, non ne ho nessun merito.
L’unica cosa che desidero è condividere la passione, la volontà e l’impegno che lei mi ha trasmesso. E posso farlo, o tentare di farlo.
In realtà ho sempre provato un po’ di vergogna, quando ero ancora al liceo, ad avere una nonna così famosa in città, che conoscevano tutti. Ed essere costantemente sempre e solo “la nipote di Anna” non ha mai fatto molto bene alla mia autostima. Ma poi si cresce e si capisce quale onore si ha avuto. Quale fortuna. Lo capisci quando la gente legge emozionata pezzi del suo libro per esempio.
Io per parte mia ho preso la mia strada, diversissima dalla militanza politica, ma mi sento dentro al cuore femminista. Fare e agire con amore e avere cura degli altri in ogni situazione. Avere cura: ecco che cazzo di semplice e rivoluzionario insegnamento. Non sempre mi riesce. Ma so che ci provo costantemente.
“Sorridi che il mondo ti sorride!” Quanto odiavo questa frase. Me la diceva sempre quando mi faceva le foto. E io ero un’adolescente scontrosa, piena di brufoli e con l’apparecchio. “cosa cazzo vuoi che gliene freghi al mondo se sorrido, stupida nonna!” pensavo sempre neanche troppo tra me e me…certe litigate…
Però…è proprio vero. Adesso che ci penso, adesso che sono grande, adesso che lei non c’è più. Sorrido. Ringrazio. E penso a lei. All’otto marzo. Alle Donne.
A Noi, Donne.

1 commento:

Mr. Livingstone ha detto...

Sembra una persona di cui andare fieri. E tu fai bene ad esserlo. Dico davvero. :)
A.