mercoledì 3 agosto 2011

un sogno.

Cosa scrivere di quei giorni? La cronaca reale dei fatti non assomiglierebbe per niente a quello che è l’illusione che voglio conservare viva. Non so se per entrambi è così. Ho letto qualcosa nei tuoi occhi, che la mia poca esperienza non mi permette di decifrare per bene, eppure essi tradivano qualcosa che mi è sembrato molto simile al mio sogno.
Sai: i fatti reali e i racconti, o la memoria, sono cose assai diverse, e il mio raccontare sta alla vita come le carezze della mattina, che si danno all’amante ancora addormentato, stanno alla notte di passione che le ha precedute.
Chissà cosa si sono detti proprio i nostri occhi, mentre noi biascicavamo a stento parole italiane e spagnole e inglesi … tentando di comunicarci in meno di 24 ore cosa siamo diventati in 24 anni di vita (o di sogno!) su questa terra.
Non so fino a che punto fossero reali o meno le cose che ci siamo detti o gli sguardi che ci siamo dati. E non mi importa. I nostri corpi, quelli sì, qualcosa si sono detti, che va al di là della fisicità, purtroppo (perché non si può mai scindere il sangue e l’anima, anche se credi di sì).
Per me è stato vivere qualcosa di molto raro.  E ho la possibilità di raccontarlo senza cinismo, per come lo ha vissuto la parte più onesta e sincera di me stessa.
Non capita spesso. O meglio quasi mai. E così resterà dentro di me sempre il ricordo dei tuoi occhi e di alcune piccole azioni dolci, e come le tue mani sfioravano la mia pelle, ma soprattutto e di nuovo i tuoi occhi, pieni di passione, dolore e destino.
Perché dolore? Perché c’è stato un deliberato desidero di disubbidire, di pensarci liberi, senza legami.
E il destino, perché? Perché a meno di un miracolo, le nostre vite non si incroceranno mai più.
Quel lunedì, dopo il pranzo da G., sono tornata a casa camminando piano, sotto il sole, tra San Giovanni e l’Esquilino (due dei quartieri più popolari di Roma, pieni di case vecchie e ruderi maestosi), la luce della sera era bella e io mi sentivo ubriaca, guardavo i miei passi, attenta a non guardare indietro, per non perdermi in un limbo o per non trasformarmi in sale. Mescolavo gli ideali e il sangue, mi stupivo di me stessa. Come può essere normale qualcosa che avvicina le persone da continenti diversi per una sera o due, e poi le lascia andare? Non me ne frega niente se molti pensano cinicamente al divertimento di una sera, quello che ha spinto me  è l’eterno bisogno di amore, e il bisogno di credere. Racconto a te queste cose, che abiti in Argentina, un po’ anche perché so che non potrai mai smentirmi: sei già troppo lontano per essere reale.
Mi piace pensare che se avessimo parlato la stessa lingua, se avessimo potuto comunicare più a fondo le nostre passioni, quella luce negli occhi sarebbe diventata qualcosa di più profondo. So anche che verosimilmente tutto questo non è vero e non ha nemmeno senso. Ma per un momento l’ho creduto possibile … poi basta: come una stella cadente o un lampo, o qualcosa che solo si percepisce, senza vedere.

Ecco: è finita. Ieri sentivo ancora la tua mano sfiorarmi la spalla. In futuro dimenticherò ogni dettaglio delle nostre sensazioni fisiche. Alla fine dimenticherò anche i tuoi occhi, e a quel punto sarò costretta a venire a cercarti.

Buona fortuna amico mio.