Accarezzarsi il cuore. Non è mai senza dolore. È un
desiderio un po’ violento. Bello e arrabbiato. Quando sono alla stazione, con al
massimo una valigia leggera, poco prima che il treno si fermi so già che
proverò ad attraversare i binari scendendo il gradino della banchina. E appena
salto giù dal treno è quello il momento che mi da più allegria: guardo di qua e
di là, lungo le prospettive che corrono sui binari, con il mio sguardo un po’
miope ed appannato, ché infatti è solo per far vedere agli altri che ci guardo,
che non sono spericolata, ma coscienziosa. Mi piace che la gente non mi guardi
dentro. Voglio che sembri tutto normale, dalla mia pelle in fuori.
Ciò che ti rende interessante è il tuo pianoforte
immaginario, gli occhi verdi e quel desiderio di ballare, tanto vago quanto
arrogante. E con tutta la violenza che poni nel parlare, sei assolutamente
fuori luogo e molesto, chiudi la portiera della macchina in faccia ad ogni
possibilità di evasione. Forse sei un territorio da esplorare con lentezza, ma
che non mi appartiene. Non adesso. Sebbene alla storia lascerò il compito di
far diventare bello ogni nostro momento, è molto probabile che saremo rovine di
qualcosa mai esistito. Tutti i colori che vedo oggi rispondono a questo. Non sono
sbiaditi e fanno male agli occhi per quanto sono luminosi. Sono nuovi fiammanti.
Sono colori solidi e netti, dai bordi precisi che delineano il senso del mio
stare, del tuo stare. Separati e sovrapposti. Prendimi la mano e spingimi a
ballare. Provocami, rincorrimi in gare di pensieri. Però dopo spogliami e fallo
con le mani, toccami la pelle e lasciami senza fiato. Poi resta, se vuoi:
prendi la tua solitudine e mettila qui, accanto alla mia. Non farmi domande. Vivimi
senza pensare. Baciami.