giovedì 30 settembre 2010

L’importanza dell’incremento differenziale

E ogni giorno è come il giorno prima. Ti svegli come se non fosse successo niente. Non ti curi delle molecole che sono invecchiate sulla tua pelle (anche se lo sai: ah, come lo sai bene!), che la terra si è spostata un po’ sulla sua orbita che i poli magnetici hanno impercettibilmente aumentato la distanza da quelli geografici. Non sai nemmeno che, mentre dormivi, qualcuno nel pianeta ha fatto una qualche fondamentale esperienza. Qualcuno è nato, e qualcuno è morto. Delle idee sono state formulate, e qualcun altro avrà certamente finito più d’una bottiglia di buon vino rosso in allegra compagnia.

Tu ti svegli, il mondo intorno a te è cambiato anche molto, ma impercettibili sono i riflessi di tutto questo nella tua vita quotidiana. Solo qualcosa di piccolo. Conosci una persona. Inciampi in un volantino. Ti tuffi nel mondo appena esci dal portone. Col tuo sorriso come unica arma, e un universo incontrollabile dentro. Chissà se il mondo oggi capirà. Otto e mezza di mattina, in ritardo come sempre. Tutto cambia, ma tu e la tua indole ritardataria no. Però qualcosa di infinitesimale, un incremento di entropia, anche la tua vita l’ha subito. E così passa un giorno. Una settimana. Un mese. E così via. E l’anno dopo la tua vita è totalmente diversa. L’invisibile incremento differenziale sommato di giorno in giorno si è materializzato in qualche modo e tu, ancora non te ne accorgeresti, se solo non avessi la memoria di ricordare come stavi “ieri”.

Tutto questo dove ti ha portato? Il minimo impercettibile cambiamento, i piccoli sbagli, i grandi passi avanti, amori perduti, anime ritrovate, gentilezze conosciute e tutto l’odio e tutto il male e tutto il bene e tutto quanto ma proprio tutto … dove ti hanno portato? Dove sei adesso? Fai in modo di trascinare i piccoli mutamenti, mi verrebbe da dire con saggezza spicciola, di cui son capaci tutti, e non farti trascinare. È proprio la sola cosa davvero difficile: trascinare e inglobare i mille raggi di sole incostanti e mutevoli che ogni giorno ti accarezzano il viso, o ti bruciano gli occhi, e portarli verso il migliore dei futuri che riesci a concepire oggi. Cazzo: dura la vita, se ogni mattina che ti svegli devi pensare a tutto questo.

mercoledì 29 settembre 2010

Avvertire l'isopportabile Assenza

Ma in fondo cosa vuoi che sia la vita!
Sono giorni di cemento, di costruzione, di malattia.

domenica 26 settembre 2010

Il tizio sconosciuto stava lì che mi osservava

Il tizio sconosciuto stava lì che mi osservava con quegli occhi curiosi e insinuanti, mentre parlavo con qualcun altro, di uno qualunque degli aspetti della questione imbarazzante. Il tavolino di legno stretto e corto, con i suoi disegnini incisi sopra, le impronte dei bicchieri del gruppo di prima, i rimasugli delle patatine fritte, la tazzina con ketchup e maionese, tutto questo in un microscopico intervallo di spazio, ci divideva gli uni dagli altri. Ma le sedie alte ci riportavano come il riflusso delle onde, a protenderci in avanti, i gomiti sul tavolo e le mani sul mento, in posizione di ascolto e intimità, anche a proteggerci dal mondo intorno, raggomitolati sui nostri discorsi, stavamo lì e parlavamo di cose mentre i nostri occhi parlavano di noi. E la mia voce flebile faceva appena in tempo a raggiungere l’ascoltatore più vicino, che infatti sembrava capire quello che dicevo, vi sia di testimonianza che mostrava di disapprovare tutte le mie scelte, come forse avrebbe fatto qualsiasi persona sana di mente. Ma il tizio sconosciuto si capiva che non capiva, e mi guardava con quello sguardo obliquo, un ricordo vago di qualcosa di simile ad un sorrisetto malizioso, come a dire: “non mi freghi, io la so lunga, le tue ingenuità mi fanno ridere”. A questo punto, di fronte a persone così, mi capita sempre di imbarazzarmi, per quello che hanno negli occhi, per quel segreto che sembrano nascondere, quella saggezza che a me manca, e dio come vorrei afferrarle per le spalle, e scuoterle e minacciarle di dirmi tutto ciò che sanno su di me, perché, mi dico, non è giusto che loro sappiano così tanto e io così poco.
Non so quando è successo di preciso. In quale punto del flusso incostante e interrotto di chiacchiere che ci hanno portato via sei ore della notte, chiusi in un pub, attorno al piccolo tavolino di legno, farfugliando discorsi tra persone semi-sconosciute, che mi sono divertita a mescolare insieme come quando leggi una ricetta di cucina fino a metà, poi ti stufi di seguire le regole e fai di testa tua, sperando che non scoppi la rissa, come ogni tanto accade, e una serata al circo massimo ne è la prova. Ma ieri sera non so perché la ricetta è andata bene, le tre donne e i tre uomini che si trovavano al tavolo hanno magicamente trovato un equilibrio, e i discorsi si incrociavano, e noi stessi ci spostavamo attorno a tavolino, per seguire l’indole del momento, come se eseguissimo una danza tutt’attorno: qualcuno si è scambiato per seguire meglio un discorso piuttosto che un altro, qualcun altro perché aveva freddo e si cercato un posto più riparato. Ma il sistema circolare che ci racchiudeva attorno al tavolino non si è mai spezzato: non vi so dire come, ma eravamo uniti. Sarà stata l’intuizione magica del cancro, l’estremo amore della bilancia, la tensione misteriosa del gemelli, o i due ingenui sagittari. Tanto comunque nessuno di noi ci crede davvero, all’astrologia. Però a un certo punto è successo. Abbiamo cominciato a parlare di segni zodiacali. Delle affinità, dei nostri segni e di quelli che abbiamo intorno, con cui vorremmo spendere attimi preziosi. Il tizio sconosciuto si è rivelato un esperto in materia, allora la timidezza ha cominciato a lasciare il posto alla curiosità. La domanda ovvia che potevo porre è come funzionano i rapporti tra sagittario e capricorno, data l’insistente ripetizione di questo carattere tra le persone con cui mi frequento. Bene dunque, il tizio sconosciuto ha smesso di guardarmi negli occhi con fare malizioso e ha assunto un’espressione di competenza più simpatica: il capricorno e il sagittario vanno benissimo insieme, il sagittario questo…il capricorno quello…e poi quell’altro…se si sblocca poi…l’energia… etc etc
Come l’ho apprezzato! E come d’altra parte sono rimasta sbalordita dall’effettiva pertinenza di quello che ha detto con la mia situazione reale, e come è stato bello per una volta non parlare dei fatti ma di possibili e teoriche affinità o contrasti. E mi sono liberata. Con un’espressione di soddisfazione entusiasta mi sono sentita libera di parlare anche a questo sconosciuto con naturalezza, ed è stato a quel punto che è successo.
Si è ripresentato. “fino a prima mi avevi dato di te una pessima idea, adesso invece ti trovo simpatica”.

sabato 25 settembre 2010

puntini e silenzi

una sedia in un angolo e discorsi attraversati mentre la notte diventava mattina, in un misto di surrealtà non capita, non voluta, non accettata. niente stelle niente luna. niente. attesa. puntini puntini. silenzi e rancori. malumori. perdiamo la libertà quando ci leghiamo. il problema è sempre lo stesso è sempre antico e buffo e scandaloso allo stesso tempo. mandare tutto al diavolo certe volte è la soluzione migliore

martedì 14 settembre 2010

definizioni

una parola
mi trattengo
la sospensione del giudizio
ma prima o poi bisogna
dire qualcosa di definitivo
per un tempo presente
ipotizzato tale
nel futuro prossimo
approssimato
in termini di giorni
la paura
la voglia
fare l'amore
tu, io, la luna.
gli incontri
le promesse degli occhi
le mani che afferrano
il tuo equilibrio che non c'è
e quello che vuoi
quello che cerchi
e quello che voglio
io

mercoledì 8 settembre 2010

frasi pensate, vecchie, sperate.


Ma quando mi sono innamorata di te…io sono sicura, tu te nei accorto come un fulmine che ti colpisce addosso..non serve che tu mi dica niente, non serve obiettare, è così anche se vorresti credere di no, non mi freghi amore mio. Sono qui, siamo qui, passiamo e andiamo, voliamo e citiamo i discorsi dei poeti cercando, anche noi, la poesia. Adesso ascolto De Gregori. Mia mamma per la ninna nanna mi cantava “buonanotte fiorellino”. A dodici anni cantavo Rimmel nel bagno grande arrampicandomi sul lavandino per vedermi bene nello specchio, con i trucchi di mamma tutti attorno, con la massima incoscienza del “dopo”, dei suoi rimproveri; stavo insieme alla mia amica di sempre, mi ricordo bene: le cantavo rimmel, come se chissà cosa ci avessi capito del testo a dodici anni, eppure la sua voce mi aveva da sempre dato l’impressione di una certa profondità di contenuti, nonostante davvero, e adesso lo posso dire, non ci avessi capito proprio niente del testo. E poi…
Ne è passato di tempo, tanti tagli di capelli si sono succeduti, eppoi castani, biondi, rossi… tanti amici tante storie, per lo più platoniche e puramente immaginarie, tanto caos, tanta ribellione, tanta voglia di cambiare il mondo…tanta bella gioventù. Perduta come i sogni perduti. Ritrovarsi a 18 anni e non avere niente tra le dita, apparte qualche amico drogato, la morte che fa capolino con i primi parenti che se ne vanno, e tanti dubbi. L’aver messo in discussione tutto precocemente, troppo precocemente rispetto a quelli che mi stavano intorno, ha creato un alone, un’aura di distacco fisico, totale, tra me e “gli altri”. Che poi magari ci saranno stati anche giovani che, come me, scrivevano su libri e quaderni dissertazioni filosofiche su dio e sull’amore a tredici anni, non lo posso escludere: solo, io non ne ho incontrati.
Ma quello che volevo dire è che alla fine, tutto cambia. Il tempo passa. E tu sei uguale a quella ragazzina lì, che si ubriacava fino a vomitare in un delirio che voleva tragico per fare esperienza del tragico. Sperimentare. Sulla propria pelle. Esperimento vivente di se stessa, storia infinita di analisi e tentativi fatti su di sé. Alla fine tutto cambia. Crescere. Ritrovare il sorriso e le lacrime abbandonati a quattordici anni dopo aver deciso che bisognava lottare ed essere duri e forti come il Che. E ti sei ubriacata di questi ideali da sempre, e per sempre li avrai dentro. Però…certo che qualcosa da aggiungere adesso ce l’ho.
Noi siamo cresciuti alla fine delle grandi utupie, e dopo il primo scarto di puro individualismo degli anni ottanta, siamo cresciuti nella consapevolezza che esistevano una quantità di miti interminabile per ogni generazione che ci aveva preceduto. Ognuno di questi miti è stato un personaggio della storia, o un’idea, è stato qualcosa che ha trascinato la fantasia della generazione cui si riferiva. Oggi mi chiedo quali siano i nostri miti, il progesso, il socialismo, il rock and roll, gandhi, Che Guevara, Kurt Cobain… sono tutti miti passati, polverosi, usurati. Io li metterei tutti in soffitta. Ammetto che generalizzare così tanto, accostare Gandhi e Kurt Cobain, potrebbe scandalizzare qualcuno. Scandalizza anche una parte di me in effetti. Però proprio qui sta il punto: sono diventate parole che rimandano ad un immaginario impoverito dal consumo, dall’abuso. È quindi in questo senso che mi azzardo a metterli vicini, non già perché siano sullo stesso piano per contenuti, ma perché lo sono come consumo che di essi se n’è fatto.
Ognuno di noi, giovani moderni, giovani di oggi, giovani contemporanei o come cavolo vi piace di più definire la generazione di giovani che oggi vive il presente (che è questo qui, uno solo, non ce n’è un altro), insomma io e “gli altri” miei coetanei, possiamo scegliere tra una vastità infinita di miti, possiamo scegliere se deprimerci con Kurt Cobain o immolarci per un futuro migliore esasperando la lotta contro qualcosa in particolare. Siamo saturi di ideologie. Fortunatamente oserei dire. Non ci rimane altro che di ritornare alle idee, pure e semplici. Azzerando il contatore di miti cui fare riferimento, per prendere spunto da tutti e da nessuno come più ci piace e come più crediamo giusto per riformulare noi stessi, con le nostre parole, nuove finalmente, non masticate da bocche d’altri, le teorie sulla vita e sul mondo che ci potranno guidare nel bene e nel male, alla luce di pochi semplici concetti primordiali, e di tanta letteratura, di tutti gli stessi miti che, ormai in pensione, ritrovano ai nostri occhi di lettori disillusi (e poco inclini a intemperanze facinorose stile ’68) una loro ragione di essere più seria e realistica. Infatti credo proprio che noi dobbiamo gioire di non avere miti, o mitologie forti a cui credere ciecamente. Questa nostra disillusione ideologica penso che possa essere la giusta spinta verso un nuovo, radicale cambiamento. Il guardare tutto con occhio critico, senza glorificare nulla e senza demistificare allo stesso tempo nulla, credo che sia l’unico modo per poter conoscere bene anche le varie parti che nella storia si sono sempre fronteggiate con ostilità, senza mai per davvero conoscersi bene vicendevolmente, ma legate ad un campanilismo ancestrale, che fa del mio vicino il mio nemico, non si sa bene poi perché, forse per paura che mangi le carote del mio orto.
Forse è il peace and love anni settanta a guidare queste mie parole, forse io dentro di me sono così, ho questo mito dentro, però davvero credo che oggi a noi sia concesso di scarnificare questi miti, di ridurre all’osso la loro portata, e questo è un bene. Prendiamo spunto, studiamo in questa società diffusa, andiamo su google e ci informiamo sommariamente un po’ di tutto, poi ognuno prenderà la sua strada, si impratichirà di qualcosa e di quel qualcosa diventerà veramente il nuovo portavoce. Perché troppo è stato detto, troppo scritto, troppo disegnato o scolpito, troppo è stato infine costruito. Il messaggio globale di nuovo cambiamento, deve risuonare forte nei nostri cuori giovani e ancora un po’ ingenui, l’idea di avere carta bianca su cui scrivere il futuro ci deve pervadere. Si è vero: tanti casini tanto rumore, tanto precariato. Se ci limitiamo a lamentarci rimarremo per sempre bambini viziati legati alla sottana di mamma. Quello sul quale poggiamo i piedi è un mondo vecchio, logoro e stanco. Conoscere per capire, capire per risolvere. Alziamo la testa che questo è il momento. Stiamo col culo a terra e solo da qui ci si può rialzare.