martedì 7 dicembre 2010

Sangue Colori e Sfumature

Sei sempre colorato, eppure sei un foglio di carta, sporcato a matita. Mi regali spesso frasi sconcertanti, prendi il peggio che c'è e sei convinto di avere il potere di renderlo colorato come le tue parole. Ma a volte dubito che i tuoi pensieri siano sempre così colorati. Questa strana tranquillità, che tranquillità non è, che non le somiglia affatto, è più gradevole dei quartieri di circostanza di prima. Tra strade e piazze, chissà com'è il quartiere: appare tutt'altro che frantumato, un blocco unico, in cui a volte ho paura che una strada, o almeno un vicoletto, si perda inghiottito da troppa omogeneità. In ogni caso per fortuna, i sensi non sono affatto sfocati e pare che ci sia ancora la possibilità di essere liberi. Pensiamo, parliamo: come osserviamo, come mangiamo. Ci sognamo. Irresistibile è immaginare di sognare insieme. Prendiamo una strada, che diventa un sentiero, esploriamo una casa in mezzo a una bolla, e giochiamo. Come Hansel e Gretel. E io intanto scrivo, con la frenesia di chi scrive nel bagno con la cartaigienica, dentro a un museo in gita con la scuola, "stupidi e stronzi compagni di classe". E si nasconde. Per stasera basta così, ne ho avuto abbastanza. Ma domani riprenderemo a danzare, ci gireremo attorno sulle note di MadWorld, ci annuseremo a vicenda, circospetti, incerti. Forse non arriveremo mai a capire in fondo cosa c'è. Io, per conto mio, ci vedo legami che mi sembrano lacci. Catene di metallo infernali e roventi, che sgretolano le ossa dei polsi, delle caviglie, divaricano le gambe, strabuzzano gli occhi. Ad ogni parola colorata e morbida che mi regali, si stringe la catena alle caviglie, sulla pancia, e ci immergiamo un po' di più in quel continuo latente e incerto. E aspiriamo all'annientamento, bombardati e stomacati da troppa bellezza. Se solo fossi più semplice, mi chiedo.

Densità

Ecco allora. Ci sono. Mi succede questo. Io della gente non mi fido. Ci ho preso così tante inculate che ho una paura fottuta di affezionarmi a qualcuno. Però mi capita ogni volta. E davvero non so come fare, né cosa voglia dire. Prenderei un fiore e te lo regalerei, se questo servisse per fare la pace.

Ma ho le mani bucate e non riesco a tremare.

Quando ero una piccola adolescente stronza non piangevo mai. Troppo schizzinosa di sporcarmi con la pelle e il sudore e l’anima di qualcun altro, mi schifavano i rapporti umani ed ero gelida come il ghiaccio. Più d’una volta ho ferito i sentimenti di qualche marmocchio infatuato di me. Ho provato a farmi assolvere, ma non credo in Dio.

E ho le mani bucate e non riesco a tremare.

Poi non so cosa sia successo, ma la morte mi ha avvicinato ai vivi. E mi sono resa conto che gli occhi degli altri, e le loro mani, e il loro amore, è qualcosa più di una semplice affermazione del proprio ego. E che il sesso non è solo un buon esercizio per mantenersi in forma. Se potessi solo spiegarti che io sto bene, anche se tu non capisci perché.

E ho le mani bucate e non riesco a tremare.

E oggi affronto le cose come se fossi già vecchia, come se il tuo dolore io l’avessi provato infiniti anni fa. Non ce la posso avere con te, conosco troppo bene i meccanismi che ti animano… solo: se potessi farti vedere il mio cuore, farti capire che passa, che passa, che passa…

Ma ho le mani bucate e non riesco a tremare.

sabato 4 dicembre 2010

A natale voglio...

abitare ai margini
di una vita tranquilla senza vedere
in continuazione
belle ragazze in fotografie da copertina
belle bionde sorridenti
sempre con i capelli lunghi e lisci e morbidi
con quelle collane tutte uguali, quei bracciali tutti uguali e quegli anelli
con certi stupidi ciondoli a cuore

in realtà vorrei anche
saper evitare la gente che non nutre altro che indifferenza
per la mia persona
e mi frega per ammirazione e idolatria
nei miei tentativi ingenui di amicizie
non ricambiate
vorrei capire quando andarmene
quando restare
capire la gente e quello che prova
amare incondizionatamente
senza paura di perdere mai
perché se ci rifletto un attimo mi accorgo che è così
ma ancora ci sono molti dettagli da esplorare
per capire davvero questa cosa qua

capire al volo i tuoi pensieri
e capire perché ho bisogno di te

vorrei essere migliore
sapere sempre cosa fare
fregarmene un po' di più
volare più leggera di come faccio di solito
take it easy è un concetto che non mi appartiene
voglio una vita semplice
non una vita facile

vorrei essere ricambiata con fragole rosse e prosecco
e un sentimento di scambio
che alcune donne non nutrono
per le altre donne
e i convenevoli dei rapporti
e irritanti sensazioni
di invidie inutili

di amicizia in amicizia
vorrei ringraziare ogni briciola del tempo
dedicato a rafforzare i legami
e le mie amiche, la mia salvezza davvero
con le nostre sciocchezze da bambine
molto probabilmente mai capite dall'altra metà del mondo
e anche da molte donne che non ci conoscono
però vi prego non cadiamo
in quelle stupide foto
dai lunghi capelli morbidi
e gli anelli a ciondolo

voglio voglio voglio
voglio
quest'anno voglio imparare una lingua straniera
dimenticare la mia
ignorare ciò che pensi di me
cercare l'assenza
coltivare il silenzio

e anche guarire dal male
inguaribile.
oppure morire
e davvero uccidere
certi pensieri
certe ovvietà

giovedì 25 novembre 2010

C'è bisogno d'amore

Tra i ricordi c'era lei
tra il mare e la pioggia
il fango e la spiaggia
fatta d'abitudine
bella
in fondo all'abisso
Lei, come uno di quei venti
di cambiamento
distruzione, rinnovamento
E' occhi e mani
calde
sulle tue spalle
Amore non voluto
troppo desiderato
E ancora non sai
se uccidere o pregare
E ancora non sai
se c'è una differenza da trovare

domenica 14 novembre 2010

andiamo, andiamo.

Ho bisogno di mettere dei punti, ogni tanto.
E tu…tu…
Puntini per esprimere quello che non si può più dire, che non è possibile dire perché sarebbe troppo lungo spiegarli tutti, i puntini.
E ieri. E oggi… e domani. Titolo di un film, coda scaduta, poltrone rugose e vuoto e freddo e tu che in fondo in fondo mi stringi ma non so se per proteggermi o per fare l’amore...
Fermarsi a guardare i se, inconsistenti come sabbia.
Ogni ragione degli sguardi di ieri crolla come la prima repubblica sotto le bombe di un’effimera rivoluzione troppo debole per affermarsi, ma abbastanza travolgente da raschiare al suolo ogni cosa, e far si che si possa ripartire da zero.
Dopo la botta mi sono svegliata col malditesta, una cavalleria di puntini in testa che picchiavano duro e sono stata sballottolata in alto mare.
Dimmi dove sono, dimmi chi sono.
Con animo puro, la mente sgombra e con voglia di dare, il rito si compie attraverso la nebbia, che oscura il passaggio e non fa dormire.
Densità di messaggio, ridondanza di spiccioli, colori caldo-scuri, estati autunnali. Piogge chilometriche confondono le orme e il passaggio resta da ricordare e basta. Le proporzioni della macchina ce le devi avere bene in testa, e autocad non capisce un cazzo di disegni a mano.
La vera rivoluzione è che la coperta mi è scivolata dalle spalle e non sento il bisogno di rimetterla, sento il calore che mi scende dagli occhi, lucidi di pianto.
Il freddo c’è ancora intorno a me, ma non saprei dire… o non c’è più conduzione, oppure il mio calore è più forte e lo sta scaldando: speriamo diventi tiepido.
Risate. Abbracci. Violenti messaggi. Tipico dolce autunnale sfumato e attutito nel suono dall’ovatta tra le tue dita.
Tra le mani hai dell’olio e mi prende la malinconia perché tu sei tu e sei uguale a ieri e io vorrei che fossi sempre tu, ma senza ieri. Anche senza domani, solo con oggi, adesso, con tanto affetto, baci e saluti, dalla tua carissima… A presto.
Infilo la porta, ascolto Flaubert, vado a tossire e scaldo il pc. Rituali di passaggio, infinita grandezza e piccole cose. Piscio di cane in naftalina e secolari cazzate mediate d’istinti.

martedì 12 ottobre 2010

L'IMPORTANZA DELLA PUNTEGGIATURA

certo ci vuole un bel po’ di coraggio a sognare ancora mano nella mano o forse no più che toccarsi le mani si sfidano a duello in un gioco di tensione spinta al limite di sopportazione tu cadi e ti sanguina la fronte e il labbro e io ti lecco le ferite ma non basta e allora lei mi ha detto che serve la liquirizia perché sono ferite d’amore quando i sogni sono più logici della realtà onestamente non me ne frega un cazzo

mercoledì 6 ottobre 2010

Non ho tempo da perdere in stupide battaglie di modi

Prima faceva freddo e pioveva, alle sette di mattina dico. Assolutamente nessuna voglia di alzarmi. Piove, lava, pulisce porta via… e io dormivo. Appena il cielo ha cominciato a schiarirsi mi sono alzata dicendo “oh cazzo le otto e mezza ma cristo santo perché sempre così tardi”…Poi mi sono largamente giustificata dicendomi che era giusto, essendo andata a letto a mezzanotte e mezza ci stava preciso: avevo dormito le mie 8 ore buone.
E ho anche sognato qualcosa che non ricordo. Vi basti sapere che era bello delicato e pungente al tempo stesso. In bianco e nero. Il bacio di Doisneau che Nicola casualmente ma azzecatamente mi ha ricordato c’entra in qualche modo. E l’amore e tutto il resto. Insomma un bel casino. Svegliarsi con una cosa sola in testa. I pensieri di due giornate una di seguito all’altra vissute sul bilico di una bicicletta da circo inesistente sui sampietrini di una Roma ovviamente sempre troppo splendida per capire se sei innamorato tu o se è lei che ti innamora ogni volta. Una marmellata di pensieri in testa. E niente. Giravo a vuoto per la stanza. Girovagavo nell’anima della rete (dicesi “web” per persone “argute”).
E poi rompiamo i libri. Scombiniamo parole e farfugliamo aforismi ma non stiamo costruendo niente. Stiamo soltanto vagando. In attesa. Attendiamo che succeda qualcosa e quando succede non ci basta ancora e ne vogliamo di più, avidi e ingordi come le radici nodose delle piante più rompicoglioni che possono esistere, come quelle che si infiltrano pure tra mattonelle e malta e le scollano e rovinano un terrazzo già provato da decenni di vita in affitto, e poi affitto di studenti, quindi ancora peggio per le mattonelle. Però la casetta è ancora tanto graziosa e quel terrazzo ne ha viste di belle serate e ne vedrà delle altre, ne sono sicura. Intanto l’altro giorno ha rivisto dei baci. E questo è un gran bel passo avanti. C’era forse anche troppo romanticismo che non si può spiegare a parole ché rischia di essere miele senza senso per chi non ci sta dentro.
Insomma “il libro dell’inquietudine” di Pessoa. Roba come i sentimentalismi e la frasetta carina che cercavo prima e che mi è costata lo strappo di mezza pagina (si Flavio mi sa che c’hai ragione i libri della Feltrinelli non valgono granché, ma tu guarda se mi si devono strappare le pagine di un libro appena nuovo cristo)
 “…e se dobbiamo dare amore per sentimentalismo, è indifferente se lo riserviamo alle piccole sembianze del calamaio o alla grande indifferenza delle stelle”
Grande inquietudine, santa…oddio non so quanto sia santa…ma poi in fondo che vuol dire non lo sa nemmeno lui…la religione, la fede bah…non sono stronzate, non intendo dire questo, ma la fede più grande è quella della vita e me ne fotto della morte, perciò dico sempre che dobbiamo viverci accanto, ci dobbiamo sentire stretti e dobbiamo toccarci e sentirci e avvicinarci e addomesticarci l’un l’altro, ogni essere umano sulla terra, per questi pochi attimi di infinità che non si sa bene perché stiamo vivendo adesso. Ricordatene domani chi sarà il nuovo messia: una donna. Magari.
Ma a me mi basta stare sdraiata su un ponticello di legno in mezzo a qualche antica rovina. C’è l’immortalità e la fugacità insieme. E se poi c’è un braccio su cui appoggiarsi tanto meglio, contare le stelle sarà più facile. Ma non pensare che io abbia uno smisurato bisogno di te. Contegno ci vuole. Fai piano se entri nei miei giorni, in punta di piedi e passi felpati ché non ho tempo da perdere in stupide battaglie di modi. Se è giusto, calzerà a pennello. Le scarpe di pelle possono essere messe in forma dal calzolaio. Le storie o ti vanno giuste o è meglio lasciar perdere. Ché poi ci sono giorni che sei tu a subire “dilatazioni umorali” (vedi le dilatazioni termiche simili che costituiscono il “miracolo” del calcestruzzo armato…dio mio santo che strazio… che paragoni assurdi…)
Adesso comunque mi sono sbloccata. Mi si è sbloccata la penna. O la tastiera. Punti di vista temporalmente separati. Nell’ottocento avrei scritto la penna. Oggi forse è più corretto dire la tastiera. Ed ecco che potrei anche indefinitamente parlare di concetti profondi. Ed ecco che potrei anche tornare a studiare. Dopo tutto può darsi che in minima parte io abbia effettivamente bisogno di te.

venerdì 1 ottobre 2010

non dico mai cose serie, ma nemmeno le scrivo

Mi tocchi nel profondo, e mi rendi fiera di questo corpo e di questa mente. Arrivarci così, con una semplicità trovata per caso. Moti dell’animo: non si esprimono in nient’altro che in impulsi nervosi, piccoli, leggeri spasmi di tremori incontrollabili. E poi niente, va bhè. Non riesco a pensare ad altro che negazioni. Se non fosse successo mai. Perché conoscerti è il più grande sbaglio e la più grande grazia. E conoscerti ogni giorno, senza riconoscere i petali del girasole che ho fatto appassire, o il fiore che non mi hai mai regalato, e le bugie che mi hai promesso, non è affatto quello che voglio. Ma tra il bagno e la stanza si susseguono le risate dei nostri corpi intrecciati, e ogni maledetta superficie è fondamentale nell’esercizio di ricordarmi di dimenticarti. Però lo sai che io non dico mai per sbaglio cose serie, e parlo solo di sciocchezze, il sorriso sulla mia faccia è la maschera migliore che potevo inventarmi. E dalla sanità passo alla malattia, con la stessa logica con cui si passa da una storia all’altra. Affioro in superficie di tanto in tanto per ricordarmi di essere unica e sola, di bastare a me stessa, ma mi sfugge il concetto. Lo perdo tra le dita, poeticamente affusolate, tra voci indecise e calde, sussurrate piano all’orecchio, che cantano musiche per farmi innamorare. E se ho paura proteggimi, se ho freddo riscaldami. E se non ti trovo, mostrami dove ti nascondi, tutte le volte che ti ferisco. Non serve la psicologia per capire che si sta meglio senza facebook, che l’acqua per il bagno è meglio calda, che le fragole a letto macchiano il cuscino, che ti devo ringraziare, e che se ci siamo persi, ci sarà qualche ragione. Ma ritrovare gli occhiali non è mai stato semplice, urtare scaffali e comodini ogni mattina, per la fretta di scappare sperando di non aver dimenticato niente, chiamare l’ascensore con le scarpe slacciate, baciarsi in ascensore e allacciarsi le scarpe, poi truccarsi in macchina sotto il tuo sorriso, sperando di essere stata bella fino a quel momento per te, e non dopo, quando preparandomi al mondo non sono più io, senza le mie occhiaie e quella faccia pallida, che dedico solo a te, quando siamo sicuri di amarci. È strano l’odore dell’imperfezione di un legame. Il gioco delle parti, la musica che ci accompagna nel sonno. Poi tra te e me, c’è tutto il vuoto spazio di un’ora di autobus, con le sue voci incostanti, gli aliti ubriachi e le donne in carriera, e c’è tutta Roma, e poi c’è il treno che mi separa da casa, l’aereo che ci porterà a Parigi, sempre che tu non sia legato ad altri ricordi. Ma dilungarsi, tra i fogli e il computer, con accanto la cena, consumata mentre la cucina diventava momentaneamente un laboratorio di vernice, e volere un controllo assoluto, un corpo perfetto,  e  un’anima perfetta, non mi sembra poi così stupido. Stupido è non chiamarci amore quando ci scappa di bocca, e trattenerlo come si trattiene il vomito prima di arrivare al bordo del cesso, stupido è pensare che ci sia un momento giusto, una frase giusta, una persona giusta. Stupido è pensare, in certi casi.

giovedì 30 settembre 2010

L’importanza dell’incremento differenziale

E ogni giorno è come il giorno prima. Ti svegli come se non fosse successo niente. Non ti curi delle molecole che sono invecchiate sulla tua pelle (anche se lo sai: ah, come lo sai bene!), che la terra si è spostata un po’ sulla sua orbita che i poli magnetici hanno impercettibilmente aumentato la distanza da quelli geografici. Non sai nemmeno che, mentre dormivi, qualcuno nel pianeta ha fatto una qualche fondamentale esperienza. Qualcuno è nato, e qualcuno è morto. Delle idee sono state formulate, e qualcun altro avrà certamente finito più d’una bottiglia di buon vino rosso in allegra compagnia.

Tu ti svegli, il mondo intorno a te è cambiato anche molto, ma impercettibili sono i riflessi di tutto questo nella tua vita quotidiana. Solo qualcosa di piccolo. Conosci una persona. Inciampi in un volantino. Ti tuffi nel mondo appena esci dal portone. Col tuo sorriso come unica arma, e un universo incontrollabile dentro. Chissà se il mondo oggi capirà. Otto e mezza di mattina, in ritardo come sempre. Tutto cambia, ma tu e la tua indole ritardataria no. Però qualcosa di infinitesimale, un incremento di entropia, anche la tua vita l’ha subito. E così passa un giorno. Una settimana. Un mese. E così via. E l’anno dopo la tua vita è totalmente diversa. L’invisibile incremento differenziale sommato di giorno in giorno si è materializzato in qualche modo e tu, ancora non te ne accorgeresti, se solo non avessi la memoria di ricordare come stavi “ieri”.

Tutto questo dove ti ha portato? Il minimo impercettibile cambiamento, i piccoli sbagli, i grandi passi avanti, amori perduti, anime ritrovate, gentilezze conosciute e tutto l’odio e tutto il male e tutto il bene e tutto quanto ma proprio tutto … dove ti hanno portato? Dove sei adesso? Fai in modo di trascinare i piccoli mutamenti, mi verrebbe da dire con saggezza spicciola, di cui son capaci tutti, e non farti trascinare. È proprio la sola cosa davvero difficile: trascinare e inglobare i mille raggi di sole incostanti e mutevoli che ogni giorno ti accarezzano il viso, o ti bruciano gli occhi, e portarli verso il migliore dei futuri che riesci a concepire oggi. Cazzo: dura la vita, se ogni mattina che ti svegli devi pensare a tutto questo.

mercoledì 29 settembre 2010

Avvertire l'isopportabile Assenza

Ma in fondo cosa vuoi che sia la vita!
Sono giorni di cemento, di costruzione, di malattia.

domenica 26 settembre 2010

Il tizio sconosciuto stava lì che mi osservava

Il tizio sconosciuto stava lì che mi osservava con quegli occhi curiosi e insinuanti, mentre parlavo con qualcun altro, di uno qualunque degli aspetti della questione imbarazzante. Il tavolino di legno stretto e corto, con i suoi disegnini incisi sopra, le impronte dei bicchieri del gruppo di prima, i rimasugli delle patatine fritte, la tazzina con ketchup e maionese, tutto questo in un microscopico intervallo di spazio, ci divideva gli uni dagli altri. Ma le sedie alte ci riportavano come il riflusso delle onde, a protenderci in avanti, i gomiti sul tavolo e le mani sul mento, in posizione di ascolto e intimità, anche a proteggerci dal mondo intorno, raggomitolati sui nostri discorsi, stavamo lì e parlavamo di cose mentre i nostri occhi parlavano di noi. E la mia voce flebile faceva appena in tempo a raggiungere l’ascoltatore più vicino, che infatti sembrava capire quello che dicevo, vi sia di testimonianza che mostrava di disapprovare tutte le mie scelte, come forse avrebbe fatto qualsiasi persona sana di mente. Ma il tizio sconosciuto si capiva che non capiva, e mi guardava con quello sguardo obliquo, un ricordo vago di qualcosa di simile ad un sorrisetto malizioso, come a dire: “non mi freghi, io la so lunga, le tue ingenuità mi fanno ridere”. A questo punto, di fronte a persone così, mi capita sempre di imbarazzarmi, per quello che hanno negli occhi, per quel segreto che sembrano nascondere, quella saggezza che a me manca, e dio come vorrei afferrarle per le spalle, e scuoterle e minacciarle di dirmi tutto ciò che sanno su di me, perché, mi dico, non è giusto che loro sappiano così tanto e io così poco.
Non so quando è successo di preciso. In quale punto del flusso incostante e interrotto di chiacchiere che ci hanno portato via sei ore della notte, chiusi in un pub, attorno al piccolo tavolino di legno, farfugliando discorsi tra persone semi-sconosciute, che mi sono divertita a mescolare insieme come quando leggi una ricetta di cucina fino a metà, poi ti stufi di seguire le regole e fai di testa tua, sperando che non scoppi la rissa, come ogni tanto accade, e una serata al circo massimo ne è la prova. Ma ieri sera non so perché la ricetta è andata bene, le tre donne e i tre uomini che si trovavano al tavolo hanno magicamente trovato un equilibrio, e i discorsi si incrociavano, e noi stessi ci spostavamo attorno a tavolino, per seguire l’indole del momento, come se eseguissimo una danza tutt’attorno: qualcuno si è scambiato per seguire meglio un discorso piuttosto che un altro, qualcun altro perché aveva freddo e si cercato un posto più riparato. Ma il sistema circolare che ci racchiudeva attorno al tavolino non si è mai spezzato: non vi so dire come, ma eravamo uniti. Sarà stata l’intuizione magica del cancro, l’estremo amore della bilancia, la tensione misteriosa del gemelli, o i due ingenui sagittari. Tanto comunque nessuno di noi ci crede davvero, all’astrologia. Però a un certo punto è successo. Abbiamo cominciato a parlare di segni zodiacali. Delle affinità, dei nostri segni e di quelli che abbiamo intorno, con cui vorremmo spendere attimi preziosi. Il tizio sconosciuto si è rivelato un esperto in materia, allora la timidezza ha cominciato a lasciare il posto alla curiosità. La domanda ovvia che potevo porre è come funzionano i rapporti tra sagittario e capricorno, data l’insistente ripetizione di questo carattere tra le persone con cui mi frequento. Bene dunque, il tizio sconosciuto ha smesso di guardarmi negli occhi con fare malizioso e ha assunto un’espressione di competenza più simpatica: il capricorno e il sagittario vanno benissimo insieme, il sagittario questo…il capricorno quello…e poi quell’altro…se si sblocca poi…l’energia… etc etc
Come l’ho apprezzato! E come d’altra parte sono rimasta sbalordita dall’effettiva pertinenza di quello che ha detto con la mia situazione reale, e come è stato bello per una volta non parlare dei fatti ma di possibili e teoriche affinità o contrasti. E mi sono liberata. Con un’espressione di soddisfazione entusiasta mi sono sentita libera di parlare anche a questo sconosciuto con naturalezza, ed è stato a quel punto che è successo.
Si è ripresentato. “fino a prima mi avevi dato di te una pessima idea, adesso invece ti trovo simpatica”.

sabato 25 settembre 2010

puntini e silenzi

una sedia in un angolo e discorsi attraversati mentre la notte diventava mattina, in un misto di surrealtà non capita, non voluta, non accettata. niente stelle niente luna. niente. attesa. puntini puntini. silenzi e rancori. malumori. perdiamo la libertà quando ci leghiamo. il problema è sempre lo stesso è sempre antico e buffo e scandaloso allo stesso tempo. mandare tutto al diavolo certe volte è la soluzione migliore

martedì 14 settembre 2010

definizioni

una parola
mi trattengo
la sospensione del giudizio
ma prima o poi bisogna
dire qualcosa di definitivo
per un tempo presente
ipotizzato tale
nel futuro prossimo
approssimato
in termini di giorni
la paura
la voglia
fare l'amore
tu, io, la luna.
gli incontri
le promesse degli occhi
le mani che afferrano
il tuo equilibrio che non c'è
e quello che vuoi
quello che cerchi
e quello che voglio
io

mercoledì 8 settembre 2010

frasi pensate, vecchie, sperate.


Ma quando mi sono innamorata di te…io sono sicura, tu te nei accorto come un fulmine che ti colpisce addosso..non serve che tu mi dica niente, non serve obiettare, è così anche se vorresti credere di no, non mi freghi amore mio. Sono qui, siamo qui, passiamo e andiamo, voliamo e citiamo i discorsi dei poeti cercando, anche noi, la poesia. Adesso ascolto De Gregori. Mia mamma per la ninna nanna mi cantava “buonanotte fiorellino”. A dodici anni cantavo Rimmel nel bagno grande arrampicandomi sul lavandino per vedermi bene nello specchio, con i trucchi di mamma tutti attorno, con la massima incoscienza del “dopo”, dei suoi rimproveri; stavo insieme alla mia amica di sempre, mi ricordo bene: le cantavo rimmel, come se chissà cosa ci avessi capito del testo a dodici anni, eppure la sua voce mi aveva da sempre dato l’impressione di una certa profondità di contenuti, nonostante davvero, e adesso lo posso dire, non ci avessi capito proprio niente del testo. E poi…
Ne è passato di tempo, tanti tagli di capelli si sono succeduti, eppoi castani, biondi, rossi… tanti amici tante storie, per lo più platoniche e puramente immaginarie, tanto caos, tanta ribellione, tanta voglia di cambiare il mondo…tanta bella gioventù. Perduta come i sogni perduti. Ritrovarsi a 18 anni e non avere niente tra le dita, apparte qualche amico drogato, la morte che fa capolino con i primi parenti che se ne vanno, e tanti dubbi. L’aver messo in discussione tutto precocemente, troppo precocemente rispetto a quelli che mi stavano intorno, ha creato un alone, un’aura di distacco fisico, totale, tra me e “gli altri”. Che poi magari ci saranno stati anche giovani che, come me, scrivevano su libri e quaderni dissertazioni filosofiche su dio e sull’amore a tredici anni, non lo posso escludere: solo, io non ne ho incontrati.
Ma quello che volevo dire è che alla fine, tutto cambia. Il tempo passa. E tu sei uguale a quella ragazzina lì, che si ubriacava fino a vomitare in un delirio che voleva tragico per fare esperienza del tragico. Sperimentare. Sulla propria pelle. Esperimento vivente di se stessa, storia infinita di analisi e tentativi fatti su di sé. Alla fine tutto cambia. Crescere. Ritrovare il sorriso e le lacrime abbandonati a quattordici anni dopo aver deciso che bisognava lottare ed essere duri e forti come il Che. E ti sei ubriacata di questi ideali da sempre, e per sempre li avrai dentro. Però…certo che qualcosa da aggiungere adesso ce l’ho.
Noi siamo cresciuti alla fine delle grandi utupie, e dopo il primo scarto di puro individualismo degli anni ottanta, siamo cresciuti nella consapevolezza che esistevano una quantità di miti interminabile per ogni generazione che ci aveva preceduto. Ognuno di questi miti è stato un personaggio della storia, o un’idea, è stato qualcosa che ha trascinato la fantasia della generazione cui si riferiva. Oggi mi chiedo quali siano i nostri miti, il progesso, il socialismo, il rock and roll, gandhi, Che Guevara, Kurt Cobain… sono tutti miti passati, polverosi, usurati. Io li metterei tutti in soffitta. Ammetto che generalizzare così tanto, accostare Gandhi e Kurt Cobain, potrebbe scandalizzare qualcuno. Scandalizza anche una parte di me in effetti. Però proprio qui sta il punto: sono diventate parole che rimandano ad un immaginario impoverito dal consumo, dall’abuso. È quindi in questo senso che mi azzardo a metterli vicini, non già perché siano sullo stesso piano per contenuti, ma perché lo sono come consumo che di essi se n’è fatto.
Ognuno di noi, giovani moderni, giovani di oggi, giovani contemporanei o come cavolo vi piace di più definire la generazione di giovani che oggi vive il presente (che è questo qui, uno solo, non ce n’è un altro), insomma io e “gli altri” miei coetanei, possiamo scegliere tra una vastità infinita di miti, possiamo scegliere se deprimerci con Kurt Cobain o immolarci per un futuro migliore esasperando la lotta contro qualcosa in particolare. Siamo saturi di ideologie. Fortunatamente oserei dire. Non ci rimane altro che di ritornare alle idee, pure e semplici. Azzerando il contatore di miti cui fare riferimento, per prendere spunto da tutti e da nessuno come più ci piace e come più crediamo giusto per riformulare noi stessi, con le nostre parole, nuove finalmente, non masticate da bocche d’altri, le teorie sulla vita e sul mondo che ci potranno guidare nel bene e nel male, alla luce di pochi semplici concetti primordiali, e di tanta letteratura, di tutti gli stessi miti che, ormai in pensione, ritrovano ai nostri occhi di lettori disillusi (e poco inclini a intemperanze facinorose stile ’68) una loro ragione di essere più seria e realistica. Infatti credo proprio che noi dobbiamo gioire di non avere miti, o mitologie forti a cui credere ciecamente. Questa nostra disillusione ideologica penso che possa essere la giusta spinta verso un nuovo, radicale cambiamento. Il guardare tutto con occhio critico, senza glorificare nulla e senza demistificare allo stesso tempo nulla, credo che sia l’unico modo per poter conoscere bene anche le varie parti che nella storia si sono sempre fronteggiate con ostilità, senza mai per davvero conoscersi bene vicendevolmente, ma legate ad un campanilismo ancestrale, che fa del mio vicino il mio nemico, non si sa bene poi perché, forse per paura che mangi le carote del mio orto.
Forse è il peace and love anni settanta a guidare queste mie parole, forse io dentro di me sono così, ho questo mito dentro, però davvero credo che oggi a noi sia concesso di scarnificare questi miti, di ridurre all’osso la loro portata, e questo è un bene. Prendiamo spunto, studiamo in questa società diffusa, andiamo su google e ci informiamo sommariamente un po’ di tutto, poi ognuno prenderà la sua strada, si impratichirà di qualcosa e di quel qualcosa diventerà veramente il nuovo portavoce. Perché troppo è stato detto, troppo scritto, troppo disegnato o scolpito, troppo è stato infine costruito. Il messaggio globale di nuovo cambiamento, deve risuonare forte nei nostri cuori giovani e ancora un po’ ingenui, l’idea di avere carta bianca su cui scrivere il futuro ci deve pervadere. Si è vero: tanti casini tanto rumore, tanto precariato. Se ci limitiamo a lamentarci rimarremo per sempre bambini viziati legati alla sottana di mamma. Quello sul quale poggiamo i piedi è un mondo vecchio, logoro e stanco. Conoscere per capire, capire per risolvere. Alziamo la testa che questo è il momento. Stiamo col culo a terra e solo da qui ci si può rialzare.

martedì 24 agosto 2010

cose scritte per pensare al presente

Non ho contato bene le stelle
Dal momento che non so se sono quelle
A dire il vero non saprei che direzione prendere
A guardare da qui
Sembra tutto un mare di follia incontaminata
Incatenati al buio
Inanellati ad uno ad uno nel filo della vita
I nostri anni migliori
Le poesie le promesse le aspirazioni le sensazioni
Le cose dette
E le cose non dette
Quando ti rubavo lo sguardo che mi guardava rapito
Da qualcosa che non saprò mai spiegare bene
Perché non so cosa vedono i tuoi occhi quando mi guardano
E queste ali malate
Che ora come ora non possono proprio volare
Possono solo guardare lontano
Guardare
Sapere che al mondo c’è qualcosa da affrontare
E niente ci potrà limitare
Sappiamo parlare ascoltare e soffrire
E sappiamo che non importa
Se non lo sappiamo spiegare
Guardo il computer
Affronto con un brivido di piacere
Gli scritti seducenti di chi
Fino a pochi mesi fa non conoscevo affatto
E che oggi mi conforta
Della sintonia con cui facciamo vibrare la corde delle nostre vite
E ringrazio Dio
Anche se non lo conosco


Estate caotica
Violenta
Folle
Piena
Veloce
Malata
È stato un piacere fare affari con voi
Piccole more gialle e rossastre
Colorate e addolcite da sapienti fotografie
Catturate in una bottiglia di becks
Per giocare con un niente e riempire i cuori
Con qualcosa che non si sa mai cos’è
Scolorite ne sono certa
Nel momento in cui il caldo si fa più intenso
Il senso delle parole che non gli avevo mai detto


Cerchi l’amore in frasi e parole
In volti bagnati da luci teatrali
In gesti e sguardi disposti ad arte
Sbagli. Fallisci.
È quel punto invisibile
Irraggiungibile
Su quella linea immaginaria che sta tra me e te
Che devi cercare
Nella distanza dell’attimo che lega la pelle al brivido
È là
Che devi cercare
In tutto quello che non si può raccontare
In tutto quello che non si può vedere
In tutto quello che non si può spiegare
È tutto quello che non riesci ad afferrare
È tutto quello che non crederesti mai
Ma che nonostante tutto
Senti forte nella sua invisibilità
È qui
Che potrai trovare, insomma, quella cosa banale
Che è l’amore

mercoledì 7 luglio 2010

io non lo so come funziona

io non lo so come funziona
cosa siamo
dove andiamo
forse riesco vagamente a ricordare cosa vogliono le nostre mani quando accostandosi alla pietra ne sentono la ruvidezza, oppure i nostri occhi quando si dissetano di un panorama

io non lo so come funziona
se un momento sembra tutto nero, perché deve venire necessariamente il bel tempo qualche attimo dopo? che cosa ascoltano le terminazioni nervose del mio corpo, quando mi fanno vibrare e mi dicono “sì, adesso stai bene così”?


io non lo so come funziona
e che parte occupi tu nella mia vita, ma di sicuro sei un pezzo di me ormai, se ci sarai domani o mai più non importa. se un giorno ti dovessi lasciare per sempre, salutandoti davanti a una fermata di metro, so che ti ricorderei per sempre con amore.

io non lo so come funziona
la realtà
l’amore
la vita
ma so che la stella polare
è  il nostro bisogno di eternità



martedì 29 giugno 2010

che poi cosa vuol dire

ascolto canzoni d'amore e basta, non riesco a sentirne altre e sopratutto ripeto la stessa per ore e ore, singhiozzi di malinconia mi accompagnano trascinandomi su e giù per casa, se chiudo gli occhi vedo baci e dolcezze e sguardi e fumosi finali, quando li riapro non riesco a pensare...mi sento stordita e col cervello di una cretina rincoglionita di 15 anni alla sua prima cotta.
allora è vero, mi dico: ti sei innamorata. per lo meno adesso lo so. se è una malattia spero passi presto.

lunedì 28 giugno 2010

nel frattempo

Se tu, poniamo, una sera, anche fosse questa sera, decidessi di chiamarmi verso l’una, mentre io ascolto la musica sul letto e quasi mi addormento dondolandomi su pensieri di materia astrofisica; se tu dicevo, mi chiamassi a quell’ora e io stupita ti chiedessi cosa c’è, e tu mi rispondessi che sei sotto al portone, che mi aspetti, allora io scenderei e ti verrei incontro baciandoti e partiremmo per una notte imperdibile a piedi, viaggiando sconosciuti nella città straniera, ci perderemmo per i vicoli, ci fermeremmo in ogni posto per baciarci, per tenerci tra la braccia e sentire i fianchi e le mani toccarsi, per scrutarci la pelle del viso e della guancia a quella distanza da microscopio, e scopriremmo stupefatti quanto siamo belli l’uno per l’altra, e continueremmo così fino all’alba.  
Fino a che la stanchezza non vincerà, noi incroceremo strade deserte e ci infileremo in pertugi improbabili a fare l’amore, ci sfioreremo i nasi e le labbra sfioreranno gli occhi più di una volta, e, ogni tanto ci guarderemmo stupiti. Stupidi che questa cosa stia accadendo. Adesso.

...

Come si racconta il calore di un corpo appoggiato ad un altro corpo?
Quel calore trasmesso nonostante i vestiti, quell'attimo di vibrazione erotica in cui tutto sembra poter succedere?
Ti vorrei raccontare questo calore, e il momento in cui si capisce, nonostante tutto e contro ogni logica.
Falliscono miseramente le ragioni della mente davanti a questo calore.
Pelle su pelle, mani nascoste tra le pieghe di una gonna, sono la stessa cosa, è una forza primordiale, e io sono impotente di fronte a ciò.

domenica 13 giugno 2010

.

no.
non va.
c'è qualcosa che non va.
c'è qualcosa di sbagliato.

giovedì 3 giugno 2010

tremendi e distanti

Idee di indignazione, anime dolci a venire giù a dirotto come il cosmo come la pioggia, come queste lacrime che non trovano spazio perché non c’è spazio per capire nemmeno cosa si prova, dove sia il dolore, cosa sia la fatica di provare a toccare, ad esplorare il mondo con ingenua verità, con la libertà di dire sempre nient’altro che la verità, perché la realtà ha un significato sempre nuovo, ogni volta che annusiamo questo o quello, un fiore o una discarica, la seduzione del torbido e la gloria dell’eroico. Ogni mutevole azione, ogni sguardo e ogni soffio di vento, i sospiri accarezzano le foglie e il vento scivola tra le dita come se tutto avesse un’importanza precaria. Mutevoli gli sguardi sul mondo, stupita da tanto rumore, da tanto colore, tutti i suoni del mondo tutta questa velocissima giostra che mi fa vomitare, mi fa votare per scendere, mi fa voltare la faccia e guardare all’insù. Ricchi e appassionanti temi di filosofia. Vorrei potermi annullare tra il mouse e il computer, essere solo carta e aria e niente e nessuno e volare e osservare e non fare del male. Ma mi muovo con la grazia di un rinoceronte con il fiato corto e zoppo alla zampa posteriore sinistra, che non sa dove andare che ha perduto le staffe e la regina di cuori gli taglierà la testa e lui corre goffamente verso la salvezza rimbalzando sulla terra col suo peso imbarazzante…il peso dei nostri discorsi il peso dei nostri corpi il peso…ci disturba, ci inibisce, ci disegna, ci formalizza, ci manifesta, ci percorre, ci piega, ci ammazza. Amore amore amore amore amore amore amore… ma che cazzo vuol dire amore, e cosa significherà davvero amare. Quando ho studiato l’acciaio me l’hanno suddiviso in acciaio dolce e acciaio armonico. L’acciaio dolce è molto meno resistente dell’acciaio armonico. La dolcezza non resiste granché. L’armonia ha qualcosa di più sublime. È bello resistere come questi materiali a tutte le prove che cercano di piegarti, o di spezzarti, durante questa vita. La dolcezza e l’armonia, l’armonia come qualcosa di più, di sublime e di bello.  Il sublime come portatore in sé dell’essenza del terribile, bello che ti fa paura. Dove sta la chimica, dov’è la capacità di capire se la chimica è negli sguardi della gente, nei gesti e nelle parole…

Tremendi e tremanti anneriti e distanti
Sguardi ingialliti
Metafore disposte in fila nel vecchio comodino
Prendono e partono fanno un viaggio e ritornano
Tu temi gli sguardi che non si vedono al buio
E poi la luna sempre la luna
Piena o a metà
Mèta per un cuore a metà
Siamo distanti troppo distanti
Attente voci di pensieri pesanti
Tu io noi loro e…
Qualcosa.

sabato 15 maggio 2010

batte la pioggia su tende azzurrine

La pioggia bagna. Ti bagna i vestiti che hai addosso una sera mentre cerchi di raggiungere certi sorrisi, nel ritardo dell’ora successiva all’appuntamento. Scrosciate di pioggia attraversano la strada larga e nera, dove i lampioni riescono a malapena ad illuminare il bagliore luccicante dell’acqua. Ti si bagnano perfino i calzini e alla prima occasione spingi la timidezza nella piega più nascosta della borsa e ne chiedi in prestito di puliti. Saranno stati i calzini o la pioggia, o il cioccolato, la birra e una stanza accogliente, alcune note di poesia accompagneranno per sempre il ricordo di quella sera piovosa.

La pioggia lava. Lava le macchine impolverate, aride di questo tempo secco e morto, senza illusioni e senza speranze, lo lava e lo pulisce, e toglie il disincanto. Entri in macchina per tornare, e trovi qualcuno che ti cerca con baci sulla bocca, cadenzati dal ritmo della pioggia: comincia a venir giù, prima batte piano e lentamente, poi comincia, sempre più insistente … e nella macchina ci lasciamo dissetare, curiosi e attenti, dal suo venir giù copioso. Com’è bella la pioggia. Porta un po’ di nord tra questi comignoli, ora che il nord ha un senso preciso. Crea una pellicola tra te e gli altri, crea un distacco naturale che rispetta di più le nostre individualità anomale e strampalate.

La pioggia asciuga. La pioggia deve fare qualche magia perché dopo la tempesta il sereno arriva sempre con sorpresa, cessa quel battere insistente quasi di botto, e rimane il silenzio. Rimangono piccole gocce gocciolanti, sembra che il cielo abbia finito di strizzarsi. Asciuga le lacrime rimaste sospese, quando finisce. Ti lascia asciutto la fine della tempesta. Torni a casa tra pozzanghere che riflettono ampie nuvole bianche e pezzi di cielo blu. E il sole in mezzo.

giovedì 29 aprile 2010

guarda che luna

guarda la luna stanotte fratello mio
dimentica i rimpianti
falle una fotografia infinita amore mio
dimentica il resto
prendila dentro al cuore
affogaci dentro
dimentica la prudenza
fa' che, appena giri l'angolo tra questi estivi palazzoni romani, ti prenda di schianto questa grande luna in faccia.
affogaci dentro
e dimentica l'angolo.

martedì 20 aprile 2010

e quindi la smetto di avere paura

Certe volte vorrei avere la bacchetta magica, vorrei amare tutto contemporaneamente allo stesso modo, allo stesso tempo, sincronicamente e perfettamente. Mi perdo dietro le mille lucine dei pensieri facili e accattivanti del nulla della mente, che sono fatte di aria è vero, però provengono dalla realtà. Per questo mi ci perdo. Perché mescolare e confondere la vita e il suo suono è sempre stato troppo facile per me. Così mi sembra che il tempo non esista quando sto sull’autobus mentre vado a fare strutturale, e dal finestrino vedo una donna danzare con le mani levate sul marciapiede al di là della strada, la vedo ruotare su se stessa e non capisco e alla fine di un sordo valzer la vedo fare un inchino, rivolgendosi al di là del semaforo … allora mi giro a cercare e… e affondato tra gli alberi di là dal semaforo mi accorgo di un suonatore di fisarmonica…
Poi l’autobus riparte e io mi porto dietro la musica di quel valzer che non ho ascoltato, pigiata tra la folla, tra un mezzo finestrino perché l’altra metà è coperta da una scritta di spray, e tra visi e soprattutto tra capelli e borse e giacconi e soprattutto schiene perché sull’autobus non ci si guarda quasi mai in faccia.
C’è stato un momento, solo un istante, in cui mi sono sentita capace di volare e di raccogliere la coperta che stava in faccia alla fermata del tram, su un ramo spoglio a più di dieci metri da terra. L’ho vista per settimane, poi non l’ho vista più.
E quando vai avanti e indietro a fare mille cose puoi perdere di vista quel surrealismo spettacolare che ti offre anche soltanto la strada, se non hai fretta, vai a piedi e raccogli squarci di irrazionalità buttati lì per essere dimenticati. Come una stampella appesa ad un ramo, come dei papaveri sotto ad un muro di murales e filo spinato, e ti sembra di percepire una certa predisposizione alla catastrofe. E prendi in mano cose senza sostanza che ti pare quasi di perder tempo perché non stai completando l’armatura della soletta rampante per domani, perché ti fermi ad oziare su pensieri e c’è qualcuno –molti veramente- che cercheranno di farti sentire in colpa per essere inconcludente.
Però…
Io dalla vita non mi aspetto cose precise, cerco di viverla con amore e non mi sento di aver sbagliato un bel niente se mi dicono che forse architettura serve a costruire case e quindi datti-una-mossa-spicciati-non-perdere-tempo-a scrivere-stronzate-fai-esperienze-vai-muoviti-cosa-aspetti….
State tutti calmi cazzo!
Anche io voglio fare-vedere-cercare-scoprire-imparare-sentire-toccare-tossire...
Prendo un pezzetto di cielo, imparo una musica nuova, scruto dentro altri occhi cose che posso trovare, e mi accingo a dare quello che posso. Senza barare sul prezzo. Mai. Il prezzo è alto, è caro, carissimo, ci si fa mille volte più male a darsi senza parsimonia. Ma il gioco è tutto lì. “Sii coraggiosa”, mi hanno detto dei riccioli castani, sì sì: prendo ed esco. Mi rialzo subito. Avrò brutti momenti, avrò karmiche ripercussioni di fastidio verso persone che non si meritano il mio carattere brusco, avrò da perdonarmi mille cose e avrò da imparare ancora e ancora molto. Mi sento bene e male allo stesso tempo e non so cosa mi aspetta.  Mi studio la mia architettura con la calma che mi ritrovo: la lentezza, il camminare piano sono le cose che mi permettono di vivere. Ma Parigi e Berlino stanno ancora lì. Lo so che mi aspettano.
Eppoi... dove dovrei correre? E perché mai dovrei correre?!
Un po’ inizialmente lo ammetto: ci baravo. Un po’ di paura dell’ignoto mi faceva fare come Zeno e mi dicevo che potevo fare di tutto, se solo ci avessi provato. Lo dico tanto per far capire ai detrattori che lo conosco il vizio che si nasconde dietro l’ozium. Ma lo so, e anche se ogni tanto la mia indole pigra mi direbbe di rallentare ancora, io cerco di mantenere sempre un certo stato di moto lento, ma rettilineo e uniforme, così che arriverò alla luna, o a Parigi, o dovunque, prima o poi.

Vorrei amare tutto contemporaneamente allo stesso modo. Vorrei temporalmente essere in grado di crearmi cinque o sei dimensioni parallele per vivere pienamente. Vorrei però in fondo mi accorgo che è già tutto qui in queste quattro dimensioni reali, perché già queste mi permettono di sognare e di deformare la verità come più mi piace. Ti sta bene? Sei d’accordo con me? E allora sali su, vieni a camminare insieme a me. Altrimenti vai. Vai dove vuoi e ovunque tu vada io ti porterò con me per quello che mi hai dato, e lo stesso farai tu, inevitabilmente.
Definire…Sono sempre sfumate le cose, e più ci stai vicino peggio è. Fortuna che c’è il tempo. Mi ritrovo ad odiarlo e ad amarlo sempre più spesso, dicotomica relazione che è l’unica a creare momento perché la reazione uguale e opposta intorno a un centro è quello che mi sento, questa energia degli opposti.

E tu e io siamo sempre più idee che carne reale, siamo poli e centri di gravitazione in cerca, siamo milioni di persone e… grazie.


Un senso di gratitudine mi pervade...non so bene perché...

E fare male e far star male e farsi male è un po’ un inconveniente che fa più da stimolo che da freno…per questo rimane il sapore dolciastro del pugno in bocca, insanguinato e rosso.
Tuttavia ad ogni cosa corrisponde una reazione. E io la smetto di avere paura e faccio e dico quello che mi sento. Mi inchino cercando grazia nei miei gesti, per restituire alla vita anche io qualche goccia di splendore. De André perdonami.

sabato 13 marzo 2010

Il mistero della melanzana

Certo è interessante osservare dal suo interno la vita universitaria di un fuori sede nel weekend sfigato di studio che rimane nella città straniera. Mettendo un attimo da parte le epifanie rivelatrici di sommi esemplari direi giurassici che non potevano rimanere a lungo celati, come il venerabile Ludovico Quaroni, lasciato nel cassetto forse troppo a lungo e per ragioni di rivalità dal sapore davvero troppo infimo come il nome della facoltà gemella…
Mettendo un attimo da parte quindi il preciso scopo di restare per studiare, ci sono altri scopi che trovano nelle necessità primarie la loro essenza.
Mangiare, per esempio. Una melanzana in frigorifero rimanda alle melanzane grigliate mangiate in cucine estive nella sicilia dei nonni, o alle polpette di un’improbabile cena a quartiere prati, o alla pizza con quelle lievi e morbide sfoglie “melanzanose” sopra, o a paste succulente con ricotta e pomodorini e a involtini di carne dal sapore delicato…
Cavolo quante buone cose si possono fare con le melanzane!
Ed ora entra in scena il proverbiale disamore a cucinare del fuori sede. Anche la mancanza di tempo sufficiente per realizzare quei piatti così buoni ma complicati è un fattore essenziale della sfiga che dirò poi.
Quindi si direbbe che il piatto più sicuro e veloce sarebbero le melanzane grigliate. Ma a ben vedere, tra i tanti ricordi della cucina romana, intesa come quel luogo senza tempo (causa orologio ikea non funzionante) direttamente attaccato alla mia stanza, oltre ad una padella andata a fuoco e svariate caffettiere bruciate, ci stanno affumicazioni ripetute dovute all’utilizzo della griglia perché la cucina è senza cappa…e siccome si è ancora in inverno e cucinare con accanto un pinguino non fa bene alle mie mani senza circolazione…scelgo di optare per una via di mezzo inventata da me sul momento, memore di un gustosissimo contorno preparato da Rosa (la nuova badante dominicana di nonna) in cui le melanzane, gloriosamente rotonde, ricche e paffute, erano cucinate ad arte e morirono presto nei nostri stomaci.
Ipotizzo una padella e un po’ d’olio, taglio a fette le melanzane e metto sul fuoco, con il coperchio. Intanto prego che la scansione antivirus del computer vada in porto senza traumi, mi faccio anche un’insalatina così sicuramente in quanto a verdure posso considerarmi soddisfatta, attendo con impazienza un tempo minimo e riapro il coperchio per vedere come stanno le mie melanzanine…
Tutte incollate sulla padella.
Attivo il forchettone d’emergenza per staccare le ree adesive dal fondo già bruciato, cercando di non pensare che tutto è perduto anche se il fumo direbbe il contrario, prendo con decisione una tazza, la riempio d’acqua e la butto in padella, crepitìo di melanzane sofferenti ma sempre incollate, allora le prendo una a una con la forchetta e le stacco finalmente, morendo ad ogni istante nel vederle sfracellarsi e sfaldarsi e rimanere per metà sul fondo…
Una poltiglia è quel che rimane. Il sapore è buono, ma ho fatto un ‘insulto alla bellezza talmente grosso che mi sento proprio debilitata…quindi: caffè, riposino e buonanotte.
NB: La padella attende ancora nel lavandino di essere scrostata.
Che bella, la vita fuori sede.

domenica 7 marzo 2010

Radici

Mia nonna era una femminista. Ma non di quelle estremiste degli anni ’70 che volevano eliminare l’uomo dalla loro vita, che facevano separatismo e che fondamentalmente non ci capivano un cazzo di quello che voleva dire femminismo (le lesbiche infatti sono un’altra cosa, non è difficile capirlo).
Mia nonna, nata negli anni ’30, era una femminista degli anni ’50, quel dopoguerra che in Italia ha profondamente influito a livello politico nella vita di tutti. Quello che le interessava era fare qualcosa per le donne. Questo voleva dire femminismo ai suoi tempi. FARE QUALCOSA PER LE DONNE. Per le donne sfruttate, usate, violentate, non considerate. Emanciparle da un sistema patriarcale per il quale ad esempio se in famiglia c’erano pochi soldi chi studiava era il maschio, tanto la femmina avrebbe trovato marito…oppure tante altre piccole e grandi cose che sommate tutte insieme rendevano la donna inferiore nei diritti, anche se con i medesimi doveri…un salario più basso, una minore considerazione nelle scelte, non poter divorziare, sono solo alcuni esempi. Un sistema in cui non c’erano né aborto né divorzio, un periodo critico perché, aldilà di tutto ciò che è stato detto dopo, queste due cose sono state fondamentali per l’emancipazione della donna. Oggi non si capisce forse nemmeno più molto bene perché questi due piccoli cambiamenti siano stati importanti, e in che modo siano stati rivoluzionari. Oggi si disconosce troppo spesso l’importanza di quelle lotte. Eppure questi diritti non sono dati una volta per tutte, la donna, tra l’altro spesso (e anche oggi è così), ha la tendenza ad essere l’oggetto di maltrattamenti. Storicamente è così. Io non lo so come mai, sarebbe interessante approfondire e ricercarne il motivo, perché poi una donna stuprata dovrebbe provare vergogna e tenersi un figlio nato così solo dio potrebbe permettersi di spiegarlo. E per fortuna dio non abita su questo mondo, mi viene da dire. La donna come oggetto, la donna sfruttata. Mi ha sempre fatto incazzare ed imbestialire e ancora di più se penso che le donne oggi per allontanarsi dall’immagine estremista che un femminismo stupido ha dato di sé non si dicono esse stesse femministe. Mia nonna ha lottato per le leggi per l’aborto e il divorzio, in prima linea, capiva quanto fossero importanti tali diritti per le donne. Ma non solo. L’emancipazione culturale e lo studio, l’associazione tra donne e l’unione delle donne. Il sostenersi a vicenda. Per questo ha lottato mia nonna. E ci ha scritto sopra un libro. E tanto perché fosse chiaro quale fosse il suo tipo di femminismo l’ha intitolato “Con le donne e non solo”.
Lei era una donna fuori dal comune per energie e capacità di mettersi in comunicazione con gli altri. Lottare per degli ideali. Di unità, di “sorellanza” e fratellanza. Di amore alla fine. Perché oltre ad essere una femminista militante del P.C. in giro per l’Umbria era una donna sposata e con un figlio. Una donna con le palle, nel gergo comune.
Scrivo queste cose di lei adesso, a un anno e mezzo dalla sua morte, per un motivo ben preciso. Ancora oggi nonna riesce a far parlare di sé. Venerdì pomeriggio scorso sono infatti stata ad un incontro ad Amelia, un piccolo borgo umbro, intitolato “Costruttori di Democrazia”, ed avevano organizzato una lettura di vari brani di personaggi impegnati in politica, nelle lotte dalla liberazione in poi, partigiani, militanti, perfino un guerrigliero colombiano finito (chissà come) ad Amelia. Io e papà ne siamo venuti a conoscenza per caso e abbiamo assistito con gioia alla lettura di brani del libro di nonna. Non sapevamo nulla dell’iniziativa e ci ha fatto davvero piacere. Io mi sono stupita di come la donna che parlava fosse entusiasta di quello che leggeva e di come mia nonna fosse riuscita ad essere chiara e diretta nella trasmissione di quello che voleva essere il messaggio per chi avesse letto il libro.
Io, che ero piccolina quando nonna mi portava alla sede di partito, quando leggeva il testo che si era preparata ai comizi, quando con nonno tutti i giorni leggevano le pagine di politica dei giornali. L’amore e la passione. La fede in un ideale. E nemmeno una lira in tasca (manco a dirlo, no?).
Sono orgogliosa di lei. Si, lo sono proprio tanto e sono contenta di poterla ricordare e lo faccio con l’obiettivo di proporre a modello il suo modo di fare attivo e propositivo. Senza troppi formalismi o “sofisticalismi”. Ho sempre ammirato molto e credo di aver ereditato il concetto che quello che conta è l’azione. Non bastano le teorie espresse a parole:
“il senso di una rivoluzione culturale che deviasse lo sviluppo dall’avere all’essere, comporterebbe che gli intellettuali la smettessero di spiegare il mondo e si impegnassero a cambiarlo”
 Questa frase l’ho estrapolata ormai anni fa dal libro di storia dell’architettura contemporanea del Benevolo. Con tutti i distinguo del caso (per esempio nonna non era certo un’intellettuale), mi pare spieghi molto bene comunque il suo fare e agire. Un pensiero attivo. Ce ne sono rare di persone così. Molta gente si chiude nelle sue meschinità. Lei a pochi giorni dalla morte, dopo un anno di sclerosi laterale amiotrofica (una malattia degenerativa che l’ha colpita tutto sommato ancora giovane), in viaggio a Roma per delle cure, cosa fa? Si porta dietro il giornale Noi Donne per distribuirlo ancora! Ci credeva fino in fondo e aveva sempre in testa l’ideale di un mondo migliore. Eppoi le mille marce per la pace, tutti gli otto marzo tra una manifestazione e l’altra per tenere vivo l’interesse della gente…
Si sono piena di orgoglio e non mi va di sminuire il valore di questa donna, che per caso è pure mia nonna, solo perché l’invidia e la meschinità di alcuni giudicherà questo scritto solo un vanto personale. Non ci provo nessun gusto né sfizio. Non mi vanto di essere sua nipote, non ha alcun senso, non ne ho nessun merito.
L’unica cosa che desidero è condividere la passione, la volontà e l’impegno che lei mi ha trasmesso. E posso farlo, o tentare di farlo.
In realtà ho sempre provato un po’ di vergogna, quando ero ancora al liceo, ad avere una nonna così famosa in città, che conoscevano tutti. Ed essere costantemente sempre e solo “la nipote di Anna” non ha mai fatto molto bene alla mia autostima. Ma poi si cresce e si capisce quale onore si ha avuto. Quale fortuna. Lo capisci quando la gente legge emozionata pezzi del suo libro per esempio.
Io per parte mia ho preso la mia strada, diversissima dalla militanza politica, ma mi sento dentro al cuore femminista. Fare e agire con amore e avere cura degli altri in ogni situazione. Avere cura: ecco che cazzo di semplice e rivoluzionario insegnamento. Non sempre mi riesce. Ma so che ci provo costantemente.
“Sorridi che il mondo ti sorride!” Quanto odiavo questa frase. Me la diceva sempre quando mi faceva le foto. E io ero un’adolescente scontrosa, piena di brufoli e con l’apparecchio. “cosa cazzo vuoi che gliene freghi al mondo se sorrido, stupida nonna!” pensavo sempre neanche troppo tra me e me…certe litigate…
Però…è proprio vero. Adesso che ci penso, adesso che sono grande, adesso che lei non c’è più. Sorrido. Ringrazio. E penso a lei. All’otto marzo. Alle Donne.
A Noi, Donne.

lunedì 22 febbraio 2010

miele o marmellata... o quello che ti pare

Joy Division stasera, va’.
E un bel bicchiere di vino bianco accanto al pc. E tante cose nella testa che non riescono a trovare un ordine corretto per venire fuori, fanno a spinte le une con le altre e il risultato è una marmellata di cose da dire. E una marmellata è sempre troppo dolce e dopo un po’ ti da il vomito. Non so cos’è il passato. Non so cos’è il futuro. Ci sono solo un susseguirsi di istanti presenti. Io mi ricordo per esempio cose come un letto incastrato tra il mio e la scrivania…ma è successo? E quando, ieri? E stamattina ho dormito fino all’una, ma ricordo distintamente un caffè alle 8:30…e ricordo anche qualcosa come delle mani…
E l’aria fredda intorno a Roma, addormentata tra i gabbiani.
E nuovi colori. E nuovi odori. E toccare e sentire e annusare e sfiorare…Contare le stelle ad una a una, restare sdraiati in mezzo alle rovine del portico di Ottavia, non c’è quasi niente di più bello dei monumenti romani alle quattro di notte. Ricordo istanti di presenti passati, momento dopo momento, ricordo che non sapevo mai bene cosa sarebbe successo, dopo.
Una vaga idea ce l’avevo. Ce l’abbiamo sempre tutti, una vaga idea di qualsiasi cosa.
Un circo. Il mio cuore ieri pomeriggio saltava nervoso come l’acrobata di un circo. Ma in fondo non riesco a scrivere quello che sto provando. Non riesco a declinarlo in termini accettabili … è puro miele, o zucchero, o marmellata o quello che ti pare.

Vabè…ridacchia…occhi socchiusi e il ricordo di un dolce bacio appena dato e che presto ritornerà sulle labbra.

Buona notte.

lunedì 8 febbraio 2010

Frammenti

Parole a caso
Corteggiando il destino
recitando la mia parte
Inciampando in discorsi
Troppo sottili

Avrai altri occhi
Particolare di una cornice dal cespuglio arruffato
Dietro occhiali da vista forse neri
Occhi giganti color nocciola
Non guardate qui
Distogliete lo sguardo prima di ferirmi
Sono impotente e anche curiosa

Basta. Mai più
Mai più.
È finita è iniziata
Ricomincia ogni giorno
Le ferite del cuore.
Si creano tutte lì intorno
E quando cerchi di riaprirlo
Si riaprono puntualmente
E sanguinano
E un nuovo amore
E un vecchio dolore

Maledici il destino
Guardi l’orizzonte
cerchi un senso significante
Trovi solo scuse
E quindi… la solita inquietudine
Saluti il mondo
Chiedendo pietà
Una carezza
Un amore
Un fiore
Un sorriso
Una scala
per tornare di sopra
In quella casetta di legno dal tetto di paglia
Toc toc
Avanti

Eppure…
Le finestre erano sbarrate
Le porte erano chiuse
Ogni fessura sigillata
Input e output
Virus e tarli
Il legno era marcio
Il collaudo statico non ha retto
Sottraggo un’aliquota percentuale infinitesima allo studio
e…
tu cosa ci fai ancora lì?!
                   ... 
Non ero ancora pronta, mi dissi.
Ed era vero
Sull’altalena le nuvole oscillavano
Tra le foglie
E i rami
In qualche modo riepilogavo nella mente i frammenti di blu e bianchi di cielo, ricomponendoli in un disegno coerente.
A domani mi disse. Fermai l’altalena, il cespuglio scuro che incorniciava i due occhi giganti dietro agli occhiali era davanti a me. A domani, mi disse baciandomi sulla bocca.
Andando via inciampai e caddi. Mi uscì del sangue dalla bocca e cominciò a piovere. Strano, pensai: sa di caffè.
Domani -è scontato lo so- ma non è ancora arrivato.

lunedì 1 febbraio 2010

Gennaio è finito.

Gennaio
Questo gennaio è cominciato strano. Io che sono sempre io ma sempre un po’ più vecchia. Tante cose non le capisco e cose che credevo di capire non le capisco più. Mi incazzo per lo studio mi incazzo per le relazioni, con le amiche con gli ex e con i “forse”…
Mi incazzo in generale.
Nera.
Corro su kilometri di sogni, con una fantasia galoppante e un entusiasmo disarmante e degenerativo, negativo perché deludente è cozzare con gente che ne è priva, che ti risponde a noia, che fa di tutta l’erba un fascio e che taglia a metà le tue frasi sbrigativamente.
Vaffanculo. Prendi in mano una pistola e spara sulla folla a caso, prendi un tizio e comincia a picchiarlo, fagli uscire il sangue dal naso, sbattilo contro l’asfalto e dagli tanti calci fino a fracassargli il cervello. Picchia. Picchia forte e fai male.
Tutto fa un po’ male in questo momento.

sabato 9 gennaio 2010

scivola...scivola vai via...

Vorrei avere la grazia di scivolare
tra la folla affannata
sotto la pioggia che cade fitta
tra tanti ombrelli neri
unico ricordo
del raggio di sole
tra le nuvole scure
andato via in un instante
ma che ha lasciato nell'aria
qualcosa di grande.

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