mercoledì 23 dicembre 2009

c'è la luna sui tetti

E ogni volta mi innamoro. Dalla finestra della mia stanza si vedono i cipressi del cimitero, particolarmente scuri e verdi e brillanti in questa giornata uggiosa. Nuvole pesanti e grigie occupano i due terzi del dipinto vivente incorniciato da questa grande finestra. Il foglio della sezione architettonica da completare per restauro sta aspettando solo me. Ma come spesso accade c’è una cavalleria di emozioni fortissime che mi preme in gola e vuole uscire. E io non posso che sottomettermi a questa necessità. Cazzo. Ma perché si deve sentire così forte e amplificato tutto quanto?! Come sarei curiosa di sapere se capita solo a me.
Io provo a focalizzare concetti di bellezza per dimenticare…

… PASSEGGIANDO PER ROMA SOTTO NATALE

Ha i colori dell’inverno davanti agli occhi: nella ripetizione ritmica di un fotogramma fisso, tra gli autobus che sfrecciano veloci, di una casa romana con terrazza e un nome di via illeggibile tra le foglie di una piccola quercia. E rimane solo via. Via come andare via, come gli autobus vanno via. Se solo arrivasse il mio. Pazienza. Prende spunto dal suo vicino e nell’attesa si accende una sigaretta, una delle rare, pensare che fuma solo per l’estetica del gesto. L’odore del tabacco fa l’effetto di un ricordo.
Ma io penso, penso continuamente. A tutto, a troppo. Penso a T. e a M., alle consonanti e a come suonano bene, a come siano più belle delle vocali. Ma fottetevi tutti stronzi. Vi voglio bene ma chi l’ha detto che devo capirvi? È ancora caldo il ferro, è rovente. E quando ti penso amica mia, mi incazzo a morte con te e ti odio. Sei una stronza e lo sei stata tutte le volte che mi hai ferita. Lo capisci che non ti posso perdonare? Eppure…come lo vorrei!!
Giulia pensa che non capisce, che non c’è motivo machisenefrega. E poi accade che certi sogni durino giorni e una città possa avere scritto AMORE a caratteri cubitali tra i binari dei treni alla stazione.
Cos’è la vita senza l’amore? Si si. Come un albero secco. Senza foglie. Ma immaginatelo, quest’albero: rami secchi, forti e nodosi, in un susseguirsi di diametri sempre più sottili si stagliano coraggiosi verso il cielo grigio-azzurro dell’inverno, in forte contrasto con la sagoma dell’albero. Potente, coraggioso, solitario e bellissimo. Passione e amarezza. Pare dire: << Sono il sogno dell’infinito, dell’immortalità, sulla mia corteccia sono incisi date e luoghi, quando e perché, di ogni gesto, di ogni bacio, di ogni amplesso>>.
Ferma in un secolo di istanti assurdi, arriva l’autobus. Giulia respira. Prende una penna e sbrodola frasi sporche e mozzate, sbagliate e mescolate di noia. Ora attende e riflette e cerca di capire, ma vede che non ce la fa. È assurda la vita? Ha senso interrogarsi sul niente? Reazioni allergiche davanti all’idiozia di due tredicenni parioline che parlano di sushi quasi fosse un dibattito sulla critica della ragion pura: sabotatrici dei modi e dei tempi della crescita, dei tempi degli aperitivi e dell’arte della seduzione, imparata inconsapevolmente da donne troppo mondane e impegnate per preoccuparsi di comprare delle stupide barbie alle loro bambine, ovviando a ciò con tanti soldi “ecco tesoro mio, comprati quello che vuoi”, e loro ci vanno a comprare il sushi. (un vago ricordo di canti della rivoluzione, contro i borghesi , viene in mente a Giulia in questi momenti, poi si ricorda di essere, anche lei, una stupida borghese).
Scende dall’autobus.
Odore di cannella e frutti secchi. Piazza Fiume natalizia con il gospel all’angolo della Rinascente. La libreria sotterranea e Lou Reed (amo i proprietari che ascoltano sempre ‘ ste musiche fighe) Cerco un libro…Pessoa…il libro dell’inquietudine…e un calendario…il Piccolo Principe…Sì, grazie, arrivederci e buon Natale.
Villa Albani al ritorno, niente lucine intermittenti, solo silenzio e freddo. E davanti quella vecchia casa malconcia e affascinante. E noi, che andiamo avanti dimenticando i sorrisi più belli, invecchiamo, come splendide rovine. Come questa casa, come le belle case…
Il senso della vita. Sì.

domenica 13 dicembre 2009

Odore di vinavil

Prima giocavo con la colla. Avevo due scatole delle scarpe, un ripiano vuoto del comodino e per niente tempo da perdere, ma sapete com'è, quando la mamma dice al bambino "non mangiare la cioccolata!" il bambino appena può va là e la mangia. Io ho fatto lo stesso con la mia coscienza. Sarà perché è quasi Natale e si è tutti più buoni, io voglio esserlo con me stessa (so che me ne pentirò poco prima degli esami, lo so...ma che importa?).
Insomma mi ritrovavo lì per terra, gambe incrociate, una bimba con le mani tutte impiastricciate di colla, una piantina della città di Parigi mezza incollata, un po' arriccita, un foglio di giornale marocchino direttamente da Marrakech e...tutto d'un tratto sobbalzo ricordandomi che circa tre quarti d'ora prima avevo messo a bollire l'acqua per il tè...mi alzo alquanto goffamente e inciampo sui fogli per terra, rovescio il bicchiere con la colla fino alle rotelle della sedia, vado in cucina e lo trovo spento...Uff!!! Una delle mie magiche coinquiline l'aveva spenta, ci aveva messo la bustina del tè e lui stava lì, in attesa di essere bevuto, tranquillo come la luna.
Mentre pulisco il danno a terra e bevo il mio tè rischiando di impiastricciare tè e colla in un nuovo e mistico sporco che qualche prodotto delle pulizie potrebbe prendere ad esempio delle sue performance in qualche mediocre pubblicità, penso al paragone con la luna. Perché, mi chiedo, la luna dovrebbe essere calma, sta così vicina alla terra, dovrebbe essere in ansia pazzesca, rischia di esplodere o di essere sommersa di rifiuti umani ogni minuto. Se fossi nella luna opterei per due soluzioni, mi dico, la prima sarebbe andarmene via lontano, rinnegando lo stretto legame con la terra e cercando la mia strada altrove, senza di lei, che si è fatta ormai corrompere da questo genere umano che prima o poi la distruggerà; la seconda opzione sarebbe più coraggiosa, perché mai proprio la luna dovrebbe andarsere via da un luogo che occupa ormai da milioni di anni? Semmai è la terra che con il suo comportamento dissoluto sta rovinando l'aria a tutti, e quindi opterei per un bell'impatto terra luna, le andrei a sbattere di botto, la frantumerei in mille pezzi, chiederei anche l'aiuto di venere e marte che lo so ce l'hanno a morte anche loro con la terra, con tutti quei continui satelliti che continuano a disturbarli...
Mentre mi immedesimavo nella luna ho capito che se fin'ora non se n'è andata, deve aver scelto l'altra inevitabile soluzione per liberarsi della terra, quindi ho buttato a terra tutto, rompendo la tazza e creando un secondo ancora più improbabile impasto di sporco, e a piedi scalzi (veramente con calzini) sono uscita di casa e gridando dal red carpet dell'ingresso (una mattina esco di casa e trovo questo tappeeto rosso natalizio, devono aver capito che dimorano persone importanti in questa casa, ma spero che la mia identità continui ad essere segreta) cercavo di far capire ai passanti che a breve la luna si sarebbe schiantata sulla terra, che non ci sarebbe stato più natale!
Non mi ha cagato nessuno, così sono rientrata un po' esterrefatta ma tant'è, ho pensato, se non frega a nessuno, perché dovrei farmi carico proprio io di questo? Mi sono nuovamente infilata nei panni di una studentessa modello (spero che qualcuno ci sia cascato, ma mi sembra ancora una copertura poco credibile) e mi sono messa a scaricare quintali di film porno, per il mio amico immaginario. Ora nonostante tutto ci credo alla storia della luna, penso che questo avverrà nel 2012, in fondo tutto combacia, abbiamo rovinato un pianeta ma non siamo tutti stupidi, qualcuno si salva anche tra miliardi di virus come noi.
Avrei voluto che accadesse tutt'altro. E invece è accaduto questo.

lunedì 23 novembre 2009

Carta


Siamo carta.

Carta che rimane lì, impolverata e sudicia, spiegazzata, strapazzata, sottile, infiammabile.

Pagine su pagine a formare libri, libri su libri a formare volumi, scaffali e librerie.

Un esercito di carta stampata, su cui scorrono fiumi di sangue, di lacrime, di battaglie, di imbrogli, e di conti da pagare.

Forse nemmeno l'arte si salva dall'essere nient'altro che carta. Noi, donne e uomini, siamo solo carta. Oh come vorrei vivere senza esistere, esistere solo di aria e introdurmi in ogni corpo di uomo o di donna secondo il mio piacere, per sentirmi e provare ogni volta tutto e niente!

Quello che nel mondo vale la pena di provare. Volare.

Non c'è gusto nell'essere prigionieri di un corpo unico e solo per tutta la vita.

Vorrei fuggire via
scappare
morire
non tornare mai più.

Voglio vivere.

domenica 4 ottobre 2009

....di getto!

Qualcosa andava pur fatto. Qualcosa andava pur detto. E infine, qualcosa andava pur scritto.
Roma cinque di pomeriggio. Notte insonne e treno troppo veloce. Perdo il senso del tempo così… Sbornia colossale il venerdì per aver sottovalutato le proprietà devastanti del moijto e crisi di esplosione liturgica fiorentina mi hanno stravolto il week end in maniera imprevista e alla fine gradevole. Ascoltando la musica sul pc mi accorgo che c’è troppo rock, rock progressive, rock anni 70-80-90, indie rock, sperimentale…nulla per ragionare, per meditare, su cui immaginare sogni e spiriti, e infine vedere la lucina lontana di piacere nervoso e puramente mentale. Ho solo potente rock vigoroso ed energizzante. Apparte che sembra la pubblicità di qualche doccia schiuma, appartiene alla sfera degli stati d’animo vitali propositivi, nulla a che vedere con quelli patologicamente e volutamente contorti e concentrati su se stessi, momento in cui mi trovo adesso, ma ancora per poco perché gli effetti del treno troppo veloce portano ad indigestioni umorali e a subitanee svanizioni di sensazioni. Odio i treni veloci. Odio qualsiasi cosa sia troppo veloce. Devo sedimentare immagini, devo bloccare gli istanti almeno un secondo per poterne fare qualcosa di buono per il futuro. Ma non so nemmeno io che significa. Solo che suona bene e il concetto in fondo è sempre lo stesso. Ad ogni alba ci aspettiamo di provare le stesse nuove sensazioni di sempre, mai arricchite dal ricordo dell’alba precedente, vogliamo la purezza dell’immagine, e non averla lascia sempre un po’ di insoddisfazione in più, ogni volta che guardiamo una nuova alba. Fine dell’inizio, inizio della fine, perduti siamo perduti, attenti non lo siamo mai. E ci intossichiamo di verità, quando l’unica cosa vera sono i sogni. Se dovessi raccontare le due serate che si sono succedute quasi senza soluzione di continuità ieri e l’altro ieri, ci sarebbe solo un modo per farlo. Ho sognato.
Colori e suoni antichi, medievali, rumore di alcol e tremore che sa di paura. Ti vedevi traballare dal di fuori, ma non riuscivi a decidere tu come camminare: cosa può essere se non un sogno?
E poi nei sogni succedono sempre cose impossibili nella realtà, e che quando ci svegliamo non ricordiamo.
Poi sono entrata in un mondo misterioso, sembrava una stanza, ma ad un certo punto sembrava proprio non avere più le pareti, ci siamo dilatati in un universo parallelo e certamente più bello… parlare e guardare e ascoltare e parlare ancora, fare domande silenziose e non ricevere scioccanti verità stile colpo di scena finale come nei film di massa americani, ma sentire - e sapere che si sta per sentire proprio quello - frasi chiare, semplici e giuste, seguire il rumore dei pensieri dell’altro e dire che sì: ok, sono perfettamente d’accordo, e la cosa più bella è che lo sapevo. Non può essere distrutta una cosa così. Mai. E dove potrebbe esserci un finale migliore se non in un sogno?
“Where is my mind” dei Pixies finalmente comincia a darmi ragione sullo stato mentale, credo che anche questo esseri inanimati in realtà abbiano un’anima, e che la casualità delle canzoni sia dettata da invisibili quanto misteriosi flussi che traspongono le mie emozioni in bit e matrici binarie che il computer capisce, scegliendo di conseguenza le canzoni adatte al mio umore di adesso…certo, ci ha messo un po’ per entrare in sintonia, ma scommetto che ormai ci siamo…e Tom Waits mi da ragione!

domenica 30 agosto 2009

io vorrei ma poi in fondo mi accontento

c'è un problema fondamentale nella ricerca del nostro obiettivo. non riesco a capire quale, e questo è un problema ancora più profondamente sconcertante se possibile. esco vedo le persone che mi rimandano ad un tempo indefinibilmente lontano dei miei anni passati e riesco a malapena a sentire che mi scorre nelle vene il ricordo della loro voce rivolta a me, la loro faccia e i loro occhi mentre mi guardano...cerco un qualsiasi motivo per capire se faccio bene a fare quello che faccio. io non mi sento di fare un cazzo in realtà...solitudine non è la parola giusta è più che altro deliberato allontanamento da ciò che è stato...da ciò che non vorrei fosse più. mai più. io in realtà adesso sto un po' brilla ma la cosa sta sfumando rapidamente, forse riesco a scrivere qualcosa di decentemente ispirato in questi altri venti secondi di trauma etilico in cui mi trovo, ma sembra che l'eco delle parole significanti che sgorgano solo in questi momenti particolari del limbo tra la vita e la morte stia velocemente svanendo...sento l'inutilità dei miei desideri verso elementi che in fondo sono già troppo mutilati nella mia immaginazione per poter resuscitare. vorrei dire cose serie. vorrei correre sull'eco dell'amore rotto dal muro di lacrime incomprensibili. ma non c'è tempo.

sabato 11 luglio 2009

L'acqua il pane le cose

L'acqua, il pane, le cose. Le cose assurde le cose di sempre, i pensieri che scorrono, sempre troppo veloci per ascoltarli, sempre troppo veloci per fermarli. La mente che non sa più scrivere, la voce che non sa più pensare. Una stanza disordinata, un mucchio di libri affastellati un po' ovunque...roba che non voglio dimenticare, che mi invade la stanza e la mente in questo presente pieno di passato che sfugge ma che non voglio che sfugga, che perdo ma che non voglio perdere. E così sfugge a tratti, perdo ricordi a caso senza che sia io a decidere quali, nella meschina ingordigia di volere tutto. Le trame della mia memoria si rompono in punti a me sconosciuti, come sfuggono gli oggetti da buste della spesa troppo gonfie. E' che siamo diventati così sottili. Sottili come buste di plastica.
Bum.
La musica...e un caotico tentativo di pensare a te, di pensare a noi, di pensare a me insieme a te... Il tuo essere inconstante e indefinito, sempre diverso e immaginario nella misura in cui sei tutti e nessuno, sei me e sei il mio miglior amico, e il mio peggior nemico.
Sopra queste tavole di realizzazione da completare per l'esame, con il pensiero delle porte antincendio che forse andrebbero aggiustate, il parquet, il megatello che non è solo una prelibatezza culinaria ma anche un pezzo di legno di sezione trapezoidale...
e sopra a tutto, mezza dimenticata tra nuvole che sembrano volate via lontano, la mia passione per la vita, leggera, come il desiderio semplice di baci e carezze, di erba sotto i piedi...che non rispecchia affatto una visione impegnata della vita, affaccendata, nervosa e nevrotica come quella che vivo in tutti gli altri momenti di realtà.
La realtà adesso è immaginare stati fisici semplici, come il fluire dell'acqua in un fiume...la "strada verso casa".
E io lo scorrere del fiume non lo blocco, lo lascio andare e mi lascio trasportare, mi lascio innamorare.
A volte tu mi urti e mi vieni contro, sono io che ti capito per sbaglio o sei tu che mi vieni addosso, mi travolgi di passioni nascenti e te ne vai come una tempesta primaverile?
Cosa fai? A cosa pensi? Perché mi guardi negli occhi e sembri perso, ma non mi dai la mano e non mi accarezzi i capelli?
Lasciamo perdere,
un posto attorno a noi,
una poltrona buttata lì,
su quel prato non curato, e il muro di Berlino col suo cielo grigio.
Quella poltrona rappezzata, polverosa e vecchia. Vieni a sederti accanto a me. Guarda. Lo vedi il silenzio tranquillo di questo aborto di relazione?
Prendimi le mani, rimani in silenzio, e ascolta ancora. Lo senti questo caos in lontananza? Io sì. E sento i bassi che mi vibrano dentro, sento un fremito di pura energia fiammeggiare. A corde tese ora abbandono ogni tentativo di tranquillità ed equilibrio. Non esistono. E la vita è lì, eccola che bussa prepotente come sempre, e mi lascia su un prato all'una di notte, a guardare le stelle dalla luna, mentre provo a recitare la mia parte, sbilenca e da profili imperfetti.
Ma lo sento solo io questo caos, e le tue mani non esistono più.
Era un miraggio?
Ti chiedo se questo tempo migliorerà, tu guardi in alto e fumi un'altra sigaretta, mentre il tuo odore mi entra nei polmoni, come sono sicura che il mio entra nei tuoi.
Ma tu sei già lontano, non sai se questo cielo grigio si farà limpido. Berlino rimane lì, si è presa una parte di te, ti chiedi se sei ancora in grado di amare. Ti chiedo se sei ancora in grado di vivere.
E mi ritrovo da sola, davanti a te sotto questo cielo azzurro e limpido. Mi hai chiuso le porte in faccia, e io mi ritrovo in balia di sensazioni che forse non vorrei provare.
Ma sto mentendo.
Sono contenta di quello che sento, quella cosa allo stomaco che mi si contorce addosso...non se n'è andata, sai?
E ti sorrido mentre me ne vado, e ti sento affondare il viso nel mio profumo, perché la bellezza di questi momenti è la tua bellezza, è la mia: rimane lì mentre noi ci dividiamo.
Eppure non mi lasci parole, ma solo rimpianti.
Ho guardato la luna anche stasera.
Il posto era lo stesso, tu lo stesso, già cambiato, già diverso.
Non mi vuoi. Eppure stai lì, sei vivo. Vero e uguale a prima. Ma così diverse le cose tra di noi.
Amaro gioco del destino vestirmi degli stessi colori della speranza, questa serata in cui tu e la luna mi guardate da lontano. Mancano solo le tue mani intorno ai miei fianchi e una promessa d'amore sussurrata piano all'orecchio, carica di dolore e già piena della sofferenza del momento in cui ci lasceremo. Ma tu decidi di non lasciare la tua vita in mano al destino. Saggia decisione forse, la tua. Ma io, le mani legate, mi infurio e ti sfido a provocare il destino! Lasciare che corvi neri mangino un seme d'amore, così delicato e fragile, che grave affronto hai fatto al destino! Tutti gli dei dell'universo ti si scaglino contro, e guai a te!

E quindi mi viene così, questa sera che sento nick cave e mescolo parole di ieri e di oggi, faccio un frullato di sensazioni perché mi va, mescolo la mia vita a quella dei film e ti illudo di potermi capire, voglio convincerti che ti posso capire. Voglio che mentre mi guardi, con quel mezzo sorriso, dolce sotto quintali di parole, con i tuoi timidi gesti, il tuo odore che mi cerca, tu scelga di non allontanarti da me. Io, che ti giurerei amore eterno, in quel modo ubriaco da amanti che confondono un secondo nella felicità, che si perdono e sprofondano negli occhi dell'amato.
Io ci cascherei fino in fondo ai tuoi occhi neri, ti leccherei le ferite ad una ad una, ti farei capire che, malgrado ciò che pensi, tu sei già innamorato di me.

Ma la luna è coperta e i sogni stanotte rimangono solo sogni. Si soffre di meno, e si gode di meno. Ma forse si soffre uguale.

Alle donne. Perché sono donne che amano uomini, e anche se la nostra vita non inizia e non finisce in stantii romanzi rosa con storie strazianti, a volte ci capitano sere in cui la malinconia e il romanticismo ci pesano un po' di più sul petto.

domenica 26 aprile 2009

Leggerezza mentale

Momenti nuovi e strani, regalati dalle persone più impensate, riempiono di mille colori diversi.

Colori che si fanno vivi nella tela dell'imaginazione ma che rimangono sterili nella realtà che si usa chiamare concreta.

Parole su parole assordanti di niente, frasi e gesti.
Delle prime rimane ben poco, e tuttavia qualcosa rimane.
Dei secondi rimane il ritmo e la passione, il colorare con gesti immaginari l'aria nel vuoto accanto al finestrino del treno, che ci fa passare davanti, in rassegna veloce, colline che sanno di corpi morbidi e distesi, accarezzati da mani febbrilmente in movimento.

Quelle mani, sembrano cariche di un eros passionale e profondo, e lo diventano in tutta la loro concretezza nella dimensione nascosta tra i pensieri....vediamo il fumo di una sigaretta accesa...mentre un corpo, piano, si avvicina...la mano lo prende...lo fa suo...e tutto diventa liquido...

Oppure in un'altra delle stanze di questa dimensione di iper-realtà, vediamo due luci brillare sopra una luna a metà, due occhi e un sorriso di semisconosciuti abitanti del destino, mettono a dura prova questa famosa insostenibile leggerezza dell'essere...

Velata di un sottile strato di tristezza, la vita va avanti nel grigio torpore di stati fisici quasi sempre indesiderabili.
Aspettando con pazienza i rari istanti di pura gioia metafisica farsi spazio nella mente, attraverso la penna e sulla carta, pensando e godendo del pensiero.

Arriveranno mai, istanti di vita reale, a toccare delle corde tanto profonde, a farti vibrare di pura vita più di questi, banalmente chiamati, pensieri?

lunedì 6 aprile 2009

From Shakespeare...with Love

Dovete considerare tutti voi che anche se è vero che un blog dovrebbe contenere forse solo i propri scritti, perché altrimenti copiare e incollare scritti di altri sarebbe troppo facile, inutile oltreché logicamente banale, il prendere ogni tanto a servizio delle proprie emozioni parole scritte da illustri personaggi, potrebbe essere lecito.
Con questo incipit mi assolvo la coscienza dal fare questa cosa che comunque cerco sempre di evitare, perché prendere in prestito parole d'altri significa non fare sufficiente attenzione alle proprie parole, e a quell'unicità che spesso racchiudono, anche se i concetti che esprimo sono triti e ritriti...
Tuttavia, stamattina sono inciampata in un libricino di poesie di Shakespeare, regalatomi un paio di anni fa da una persona molto speciale...insomma, vado lì ad aprirlo a caso e vedi un po' cosa trovo...

SONNET CXIII

Since I left you, mine eye is in my mind,
And that which governs me to go about,
Doth part his function, and is partly blind,
Seems seeing, but effectually is out:

For it no form delivers to the heart
Of bird, of flower, or shape which it doth latch,
Of his quick objects hath the mind no part,
Nor his own vision holds what it doth catch:

For if it see the rud'st or gentlest sight,
The most sweet favour or deformed'st creature,
The mountain, or the sea, the day, or night,
The crow, or dove, it shapes them to your feature.

Incapable of more, replete with you,
My most true mind thus maketh mine untrue.

Ecco bhè...volevo condividerla, perché è veramente bella, e mi piacerebbe anche se qualcuno ne volesse discutere...come non detto...non si alza mai una foglia di vento...vi va di discuterne? dai dai dai!!!

domenica 22 marzo 2009

Quindi Sono Sveglia Adesso

Certo, non servono molte parole.

Tempo di riflettere.

In “intranquilité”.

Sono sveglia adesso.

Ma nel momento in cui ho preso sonno qualcosa mi è sembrato ancora acerbo per cadere. Mi sono sconvolta all’idea che fosse già marcio qualcosa che credevo acerbo.

Qualcosa è caduto, oltre alle mie poche certezze. È caduta la routine quotidiana di una sfoglia di seta ormai logora.

Ma non per questo mi sento sconfitta,

non per questo mi sento ferita,

non per questo mi sento di dire che sia finita.

L’amore è lì, bello come prima, più grande che mai, strano come non mai.

Se c’è qualcosa che andato storto non è colpa di nessuno, e di tutti e due. Ed ecco che ritrovo in una solitudine un poco dimenticata quella delizia di descrivere, di immaginare cercando di ignorare di essere qualcosa di diverso dall’invisibile.

Eppure qualcosa ci manca.

L’insofferenza, quella invece, non ci ha mai abbandonato. Maledetta!

Appena grande vorrò fare qualcosa, appena grande vorrò fare di più…

Eliminare il quesito e vivere senza porsi domande non è mai stato il mio forte, devo capire e arrovellarmici sopra un bel po’ prima di capire che è stato tutto inutile, e che bastava sorridere di più, e mandare al cesso gli ingombri inutili.

Poi però ti interroghi sul “non poteva essere altrimenti se è andata così”…si perché in effetti c’avete mai pensato all’eterno ritorno? Insomma non c’è la macchina del tempo che ci permette di ricomporre gli errori passati, che crediamo tali, ma non siamo nemmeno sicuri che se potessimo tornare indietro FAREMMO VERAMENTE LE COSE IN MODO DIVERSO.

Io per conto mio non ci credo nemmeno un po’.

E infatti guardo al futuro per quello che vedo: una pagina, anzi migliaia di pagine bianche che piano piano riempirò di me e sporcherò di vita.

Certo che gli errori servono, fanno crescere e maturare…………………… alla fine ti fanno anche marcire se applichiamo la metafora fino in fondo però!

È dopo questo sprazzo di lucida cazzata che ritrovo un po’ me stessa.

E forse capisco che in fondo non c’è niente di male ad essere come sono, ché certo mi piacerebbe tanto essere perfetta, avere rapporti perfetti, non dire mai niente di sbagliato ma niente…poi dopo cinque minuti mi romperei le palle dalla noia molto probabilmente.

Ogni cosa che sono mi cambia, ma non fino in fondo, se mi prendi e mi spogli delle maschere inutili che ti propino mi ritrovi come a cinque anni, con la faccia incazzata e gli occhi curiosi. Appena ritrovo quella foto te la scansiono e te la faccio vedere, visto che siamo nell’era dell’immagine mi pare giusto non ammorbarti solo con le parole, ma anche con quel tanto invadente consumo di colori e luci. Sono io quella lì. Non è che sono sempre incazzata, mica volevo dire questo. Però se tu inciampi nella mia vita devi sapere, è anche giusto che tu sappia un po’ chi sono…se vuoi venire a scoprirlo. Non volevo nemmeno dire che TI COSTRINGO a scoprirlo. Se vuoi vieni qui e lo scopri, sennò va’ a farti fottere. Perché capito, quando si è un po’ così alla fine si arriva agli estremi dell’incuranza e della ricerca di perfezione.

Contraddizione a prescindere.

Tutto ciò per dire che alla fine sono d’accordo con te, che era giusto così e che quello che ti ho detto non cambia, sono d’accordo con le mie idee sulla vita e sull’amore, sono anche contenta di averti trovato, sai chi sono e io so che tu mi conosci abbastanza bene da capire che ho bisogno di tutto questo diluvio di parole in apparenza inutili forse, ma certo non per me.

E poi c’è la mia vita, che è solo mia.

Questo ancora lo devo capire un po’ meglio.


Però ho avuto un’illuminazione scrivendo questa frase: non è caduto qualcosa di acerbo, ma non era nemmeno già marcio! È che la metafora deve cambiare, non si può vivere di arbusti e piante da frutto per tutta la vita, ci piace la carne e non siamo per niente vegetariani!!

Io credo che in questo tempo la mia percezione delle cose si sia affinata, diversificata, forse migliorata, devo lasciare andare i momenti passati e le emozioni, devo affrontare quelle pagine bianche. Normale è tutto ciò che mi rappresenta, anche se mi sembra strano.

Quindi sono sveglia adesso, tra infinite contraddizioni cerco un mio io mitico e perpetuo, la parola fine la scrivo io, se ne ho voglia, quando ne avrò voglia, ora bisogna ancora arrovellarcisi il pensiero. Felice o no, non lo so, so che va bene però. Accettare i cambiamenti non dovrebbe significare niente di più di quello che è, di per se, andare avanti. Un po’ ne siamo tutti costretti, questo è vero, però inutile è cercare la famosa macchina del tempo. E poi noi siamo stati troppo frettolosi in passato, la conoscenza della nostra vita dipende dalle esperienza che facciamo e c’era una parte di noi che non avevamo conosciuto né forse capito appieno. Ed era la parte di noi prima che ci conoscessimo, le nostre sbronze e le nostre evoluzioni personali e sessuali, sociali e psicoanalitiche. Io e te, stavolta, abbiamo la possibilità di conoscerci diversamente, a tutto tondo in un certo senso, se lo vogliamo. Solo così, solo lasciandoci liberi a questo punto, possiamo farlo. Ho cercato di spiagare perché SENTO che è necessario, e che ancora una volta sono d’accordo con te. E la buonanotte la prossima volta la dedicherò a me stessa, e il buongiorno a tutti quanti gli altri, te compreso, amore mio grande, mio primo grande amore, con serenità ti lascio andare via, ti porto con me, e so che tu mi porterai con te.