martedì 12 febbraio 2013

la realtà si crea in due, come minimo

mentre cammino per piazza di spagna, e salgo la scalinata di pietre umide con le scarpe di gomma, attenta a non scivolare e a non inciampare nelle domande stupide dei turisti (mi scusi questa è la scalinata di piazza di spagna? ...hmmm io direi proprio di sì ci stiamo sopra, dove credi di stare sugli champs elisées??) sto attenta ai miei pensieri e sto anche attenta alla musica del mio cellulare, che mi isola dagli altri e mi isola anche un po' dai miei pensieri in realtà...ma tant'è. penso dunque sono.
e penso che molto spesso agisco senza pensare, e che una buona parte delle cose che faccio in una giornata non le capisco, non le afferro, le relazioni con gli altri, il meccanismo con il quale si parla con qualcuno di qualcosa e del perché a volte si abbia una sensazione positiva e a volte negativa, non lo riesco a capire. resto misteriosamente affascinata a osservare lo svolgersi di situazioni di questo tipo, magari anche per un'intera giornata, posso tornare a casa con un solo grosso punto interrogativo. non so se non capisco, o non sono consapevole. mi sembra di essere consapevole che non capisco, in fin dei conti. ma non lo so se si possa dire un risultato. e questo accade perché sto in posti dove sono io, e gli altri, c'è una solitudine e un distacco. c'è un vuoto di comprensione tra me e gli altri. boh. non capisco. la realtà. e mi sembra che mettersi in relazione, tentare di capire anche solo una singola cosa in tutta la giornata, sia una sacrosanta attività degna di rispetto. e allora oggi una cosa l'ho pensata. per dare una definizione di realtà c'è bisogno di essere almeno in due, perché la realtà che percepiamo si forma in relazione del sé con gli altri.
dicendo questo spero che, mentre attraverso la strada nel buio di lampioni che a roma non esistono e se esistono sono sempre fulminati (si narrano leggende in cui un omino di notte sale sul lampione a cambiare la lampadina) la macchina che intravedo in lontananza coi fari accesi non mi veda. mi immagino morta, investita sotto la macchina, sollevata finalmente dall'inutilità della mia esistenza, esonerata per sempre dal dovere di pensare.

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