Stasera ho in mente la leva calcistica del…che anno era? Vabè
era un’anno: ’83, ’67, ’86. Non fa differenza.
È una canzone di Francesco De Gregori e parla di questo ragazzino che deve tirare un calcio di rigore e che ancora è proprio un principiante, ma i grandi parlando tra di loro già prospettano che farà strada perché ne ha la stoffa, e l’anno successivo avrebbe indossato la maglia numero sette, che a me non ha mai detto niente perché il calcio proprio non mi piace, però ho sempre intuito che doveva essere un numero importante in qualche modo.
Insomma il nodo cruciale della canzone è un calcio di rigore
che Nino (il ragazzino) deve tirare (a porta, suppongo). E Francesco (De
Gregori) gli dice di non aver paura, che “non è mica da questi particolari che
si giudica un giocatore”, ma che invece “un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall’altruismo, dalla fantasia”. E quindi insomma che è tutto il resto,
allenamento compreso, che è importante, è il come ti muovi nel mondo e non il
momento in cui tutti si aspettano qualcosa da te, che lì, in quel momento, devi
essere sereno e tranquillo e non aver paura perché può anche andare male, ma
non fa niente.
Però alla fine Nino tira il pallone e questo vola in mezzo
al campo e tu lo vedi questo pallone che rotola, anzi ci stai sopra tu, che
ascolti la canzone, ci stai sopra a questo pallone e dietro le spalle puoi
ancora sentire la potenza del calcio di Nino e davanti a te tra il fango e la
pioggia vedi la porta e vedi il portiere che sta lì e stai sempre più vicino e
il pallone è lì che sta per essere preso dal portiere ma… il portiere non ce la
fa, lo lascia passare. Ecco.
Io questa canzone ce l’ho scritta sul soffitto del mio
letto, perché è un letto a ponte e a trenta centimetri sopra di me ho un piccolo
soffitto di legno smaltato di bianco. Ci ho disegnato innumerevoli cose negli
anni dell’adolescenza, dal cuore all’interno del quale io e Sara Zerlang (una
ragazza danese che adesso ha pure un figlio) decidiamo di scrivere le cose
importanti per noi e di sancire così la nostra indissolubile amicizia; oppure
varie frasi impegnative sui grandi temi che affliggono l'umanità e che evidenziano (senza che io ci faccia troppi giri di parole) come mi masturbassi intellettualmente quando ero adolescente (ma forse mi succede pure adesso);
oppure questo pallone da calcio disegnato approssimativamente e la frase “Nino
non aver paura di tirare un calcio di rigore”.
Io sono dell’ ’86, tra quattro giorni compio 26 anni e un
mese e due giorni fa mi sono laureata in Architettura. Il mio calcio di rigore.
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