martedì 8 novembre 2011

Tu e i Limiti Storici


Accarezzarsi il cuore. Non è mai senza dolore. È un desiderio un po’ violento. Bello e arrabbiato. Quando sono alla stazione, con al massimo una valigia leggera, poco prima che il treno si fermi so già che proverò ad attraversare i binari scendendo il gradino della banchina. E appena salto giù dal treno è quello il momento che mi da più allegria: guardo di qua e di là, lungo le prospettive che corrono sui binari, con il mio sguardo un po’ miope ed appannato, ché infatti è solo per far vedere agli altri che ci guardo, che non sono spericolata, ma coscienziosa. Mi piace che la gente non mi guardi dentro. Voglio che sembri tutto normale, dalla mia pelle in fuori.
Ciò che ti rende interessante è il tuo pianoforte immaginario, gli occhi verdi e quel desiderio di ballare, tanto vago quanto arrogante. E con tutta la violenza che poni nel parlare, sei assolutamente fuori luogo e molesto, chiudi la portiera della macchina in faccia ad ogni possibilità di evasione. Forse sei un territorio da esplorare con lentezza, ma che non mi appartiene. Non adesso. Sebbene alla storia lascerò il compito di far diventare bello ogni nostro momento, è molto probabile che saremo rovine di qualcosa mai esistito. Tutti i colori che vedo oggi rispondono a questo. Non sono sbiaditi e fanno male agli occhi per quanto sono luminosi. Sono nuovi fiammanti. Sono colori solidi e netti, dai bordi precisi che delineano il senso del mio stare, del tuo stare. Separati e sovrapposti. Prendimi la mano e spingimi a ballare. Provocami, rincorrimi in gare di pensieri. Però dopo spogliami e fallo con le mani, toccami la pelle e lasciami senza fiato. Poi resta, se vuoi: prendi la tua solitudine e mettila qui, accanto alla mia. Non farmi domande. Vivimi senza pensare. Baciami. 

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