venerdì 1 ottobre 2010

non dico mai cose serie, ma nemmeno le scrivo

Mi tocchi nel profondo, e mi rendi fiera di questo corpo e di questa mente. Arrivarci così, con una semplicità trovata per caso. Moti dell’animo: non si esprimono in nient’altro che in impulsi nervosi, piccoli, leggeri spasmi di tremori incontrollabili. E poi niente, va bhè. Non riesco a pensare ad altro che negazioni. Se non fosse successo mai. Perché conoscerti è il più grande sbaglio e la più grande grazia. E conoscerti ogni giorno, senza riconoscere i petali del girasole che ho fatto appassire, o il fiore che non mi hai mai regalato, e le bugie che mi hai promesso, non è affatto quello che voglio. Ma tra il bagno e la stanza si susseguono le risate dei nostri corpi intrecciati, e ogni maledetta superficie è fondamentale nell’esercizio di ricordarmi di dimenticarti. Però lo sai che io non dico mai per sbaglio cose serie, e parlo solo di sciocchezze, il sorriso sulla mia faccia è la maschera migliore che potevo inventarmi. E dalla sanità passo alla malattia, con la stessa logica con cui si passa da una storia all’altra. Affioro in superficie di tanto in tanto per ricordarmi di essere unica e sola, di bastare a me stessa, ma mi sfugge il concetto. Lo perdo tra le dita, poeticamente affusolate, tra voci indecise e calde, sussurrate piano all’orecchio, che cantano musiche per farmi innamorare. E se ho paura proteggimi, se ho freddo riscaldami. E se non ti trovo, mostrami dove ti nascondi, tutte le volte che ti ferisco. Non serve la psicologia per capire che si sta meglio senza facebook, che l’acqua per il bagno è meglio calda, che le fragole a letto macchiano il cuscino, che ti devo ringraziare, e che se ci siamo persi, ci sarà qualche ragione. Ma ritrovare gli occhiali non è mai stato semplice, urtare scaffali e comodini ogni mattina, per la fretta di scappare sperando di non aver dimenticato niente, chiamare l’ascensore con le scarpe slacciate, baciarsi in ascensore e allacciarsi le scarpe, poi truccarsi in macchina sotto il tuo sorriso, sperando di essere stata bella fino a quel momento per te, e non dopo, quando preparandomi al mondo non sono più io, senza le mie occhiaie e quella faccia pallida, che dedico solo a te, quando siamo sicuri di amarci. È strano l’odore dell’imperfezione di un legame. Il gioco delle parti, la musica che ci accompagna nel sonno. Poi tra te e me, c’è tutto il vuoto spazio di un’ora di autobus, con le sue voci incostanti, gli aliti ubriachi e le donne in carriera, e c’è tutta Roma, e poi c’è il treno che mi separa da casa, l’aereo che ci porterà a Parigi, sempre che tu non sia legato ad altri ricordi. Ma dilungarsi, tra i fogli e il computer, con accanto la cena, consumata mentre la cucina diventava momentaneamente un laboratorio di vernice, e volere un controllo assoluto, un corpo perfetto,  e  un’anima perfetta, non mi sembra poi così stupido. Stupido è non chiamarci amore quando ci scappa di bocca, e trattenerlo come si trattiene il vomito prima di arrivare al bordo del cesso, stupido è pensare che ci sia un momento giusto, una frase giusta, una persona giusta. Stupido è pensare, in certi casi.

1 commento:

.ailuiG ha detto...

ok..aggiungo un commento perché devo capire e farmi capire e tramandarmi nel tempo quello che ero e quello che sarò, perché questo pezzo parla di cose un po' tanto condensate e metto insieme mille esperienze d'amore e mille situazioni, anche persone diverse, e non è necessariamente l'amore della mia vita, perché è la vita che vuole essere d'amore. "tu" è generico, ma come sempre nei miei pezzi, e se tu (preciso stavolta) ti senti chiamato in causa, perdonami, perché vuol dire che ho preso dei pezzi di realtà per assolutizzare certi concetti, che poi non è detto che sia tutto vero, ma come spiega bene il titolo, non dico mai cose serie.